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Home » Economia e Finanza » Economia UE » IL PIANO DELL’UE/ Le domande senza risposta su industria, nucleare e costi dopo il Clean industrial deal

  • Economia UE
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  • Economia e Finanza

IL PIANO DELL’UE/ Le domande senza risposta su industria, nucleare e costi dopo il Clean industrial deal

Ugo Arrigo
Pubblicato 27 Febbraio 2025
(Ansa)

(Ansa)

La Commissione europea ha presentato il Clean industrial deal, che lascia non poche preoccupazioni sul futuro della nostra industria

La Commissione europea ha presentato ieri un impegnativo piano economico, denominato Clean industrial deal, già previsto nelle linee guida politiche 2024-2029 della nuova Commissione entro i primi 100 giorni del mandato come priorità per garantire competitività nell’Ue.

Il piano ha l’ambizione di rilanciare la competitività dell’industria europea, penalizzata dagli elevati costi dell’energia e dalla concorrenza globale agguerrita e spesso asimmetrica da parte dei grandi sistemi economici concorrenti. La nuova necessità di sostenere l’industria europea non significa tuttavia sacrificare gli obiettivi di sostenibilità ambientale che sono stati così in primo piano durante il precedente mandato e tante critiche hanno suscitato, in particolare nei Paesi con maggior rilevanza dell’industria manifatturiera nella propria attività economica. La Commissione Ue vorrebbe anzi migliorarli, rendendoli in ogni caso compatibili con le attività produttive.


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La decarbonizzazione resta dunque al centro delle politiche, ma viene vista come motore di crescita per le industrie europee, in grado di stimolare la competitività in un quadro regolatorio stabile. L’obiettivo di un’economia europea decarbonizzata entro il 2050 resta dunque confermato. Ma riuscirà l’Ue a salvare i cavoli della produzione industriale dalla capre della transizione ecologica? Questa è senz’altro la domanda chiave.


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Come ha dichiarato la Presidente Ursula von der Leyen, “l’Europa non è solo un continente di innovazione industriale, ma anche un continente di produzione industriale. Tuttavia, la domanda di prodotti puliti ha rallentato e alcuni investimenti si sono spostati in altre regioni. Sappiamo che troppi ostacoli si frappongono ancora alle nostre aziende europee, dagli elevati prezzi dell’energia agli eccessivi oneri normativi. Il Clean industrial deal è per rimuovere gli ostacoli che ancora frenano le nostre aziende e per realizzare un chiaro ambiente economico per l’Europa”.


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Uno strumento al riguardo è senz’altro quello della semplificazione normativa e del conseguente miglioramento di efficienza dell’attività di regolazione e di riduzione degli ostacoli burocratici per le aziende e dei loro costi di adempimento.

Il piano si basa sui due settori strettamente collegati delle industrie cosiddette energivore e delle tecnologie pulite. Da un lato le industrie ad alta intensità energetica necessitano di un sostegno urgente per decarbonizzare ed elettrificare, dati gli elevati costi energetici, una concorrenza globale non equa e un ambiente normativo complesso, tre fattori che ne danneggiano la competitività. Dall’altro lato le tecnologie pulite sono un fattore chiave della trasformazione industriale e dunque anche della competitività e della crescita.

La circolarità è in tale ambito un elemento chiave in quanto in grado di ottimizzare le risorse limitate dell’Ue, riducendo la dipendenza dai fornitori extra Ue di materie prime. Il piano funge inoltre da quadro per intervenire in settori specifici di particolare criticità come l’automotive e quello dell’acciaio e metallurgia per i quali sono previsti piani specifici per i prossimi mesi. Altri settori per i quali sono previsti in seguito azioni specifiche sono quelli dell’industria chimica e delle tecnologie pulite.

Le linee di intervento per il rilancio dell’industria sono identificate nelle seguenti. In primo luogo, l’accessibilità energetica a costi ragionevoli al fine di ridurre i costi per industrie, aziende e famiglie. A tal fine gli interventi saranno rivolti ad accelerare l’introduzione dell’energia pulita e a completare il mercato interno dell’energia attraverso il miglioramento delle interconnessioni fisiche e la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili importati. Si potrà tuttavia fare senza un incremento del ricorso al nucleare, irragionevolmente inviso in molti Paesi, e facendo affidamento in via esclusiva all’incremento delle rinnovabili? È lecito dubitare al riguardo.

In secondo luogo, l’aumento della domanda di prodotti puliti realizzati nell’Ue, introducendo criteri di sostenibilità e made in Europe negli approvvigionamenti dei soggetti comunitari, in particolare negli appalti pubblici per i settori strategici. È prevista una semplificazione delle metodologie di contabilizzazione del carbonio accanto all’introduzione di un’etichetta volontaria di intensità di carbonio per i prodotti industriali di settori specifici, a partire dall’acciaio, già nell’anno in corso, e in seguito per il cemento. Queste etichette hanno la finalità di informare i consumatori, tuttavia essi si lasceranno orientare oppure continueranno a guardare solo al fattore prezzo?

Il piano prevede anche specifiche risorse finanziarie, destinando da un lato oltre 100 miliardi di euro per sostenere la produzione pulita nell’Ue e adottando dall’altro un nuovo quadro di aiuti di Stato in grado di permettere un’approvazione semplificata e più rapida delle misure di aiuti di Stato per taluni investimenti: energie rinnovabili, decarbonizzazione industriale, incremento di capacità produttiva nelle tecnologie green.

Per il finanziamento che punta a 100 miliardi si utilizzerà il Fondo per l’innovazione e si istituirà una Banca per la decarbonizzazione industriale, puntando a 100 miliardi di euro di finanziamenti, impiegando oltre al Fondo per l’innovazione le entrate aggiuntive derivanti dall’Ets e incrementando la capacità di assunzione del rischio di InvestEu, modificando il relativo regolamento. Inoltre la Banca europea per gli investimenti (Bei) avvierà anche una serie di nuovi strumenti finanziari dedicati.

Un altro tema rilevante è quello delle materie prime critiche, fondamentali per l’industria e di difficile approvvigionamento. Occorre dunque garantirne la disponibilità, limitando il ricorso a fornitori di dubbia affidabilità, e permettere alle aziende europee di riunirsi per aggregare la loro domanda verso i fornitori, oltre ad acquistare in maniera centralizzata le materie prime per conto delle aziende interessate, permettendo così di ottenere prezzi e condizioni migliori.

È inoltre previsto un apposito provvedimento nel 2026 per accelerare la transizione circolare, con l’obiettivo di avere il 24% di materiali circolari entro il 2030 e garantire che le materie scarse siano utilizzate e riutilizzate in modo efficiente, riducendo le dipendenze globali.

Ulteriori strumenti riguardano: la ricerca di partner globali affidabili coi quali stringere accordi di partnerships finalizzati a diversificare le catene di approvvigionamento; la protezione delle industrie europee dalla concorrenza globale sleale e dalla sovraccapacità attraverso strumenti di difesa commerciale; l’attrazione per la trasformazione industriale di persone qualificate e di alto livello per il rafforzamento delle competenze settoriali per le industrie strategiche.

Come si può vedere si tratta di molta carne al fuoco, al momento descritta come obiettivi da conseguire e strumenti delineati in maniera sintetica, che dovranno tuttavia essere declinati nel dettaglio e realizzati nel concreto. Basteranno per recuperare il terreno perduto nella competizione globale tra grandi potenze economiche, gli Stati Uniti da un lato e la Cina dall’altro? Difficile dirlo. Vi è comunque un notevole passo in avanti che possiamo definire allo stesso tempo metodologico e ideologico, un cambio di paradigma:

– nel vecchio paradigma l’Ue aveva costruito le sue fondamenta sul libero mercato interno, sulla rimozione delle barriere interne alla produzione e allo scambio, sulla concorrenza tra imprese finalizzata al benessere dei consumatori;

– nel nuovo paradigma, che sembra ora emergere, l’Ue appare divenuta consapevole, anche se con notevole ritardo, del fatto che la competizione che assume maggior rilievo non è tra le imprese interne, bensì tra i sistemi economici globali, i quali tra l’altro rispondono anche a modelli politici differenti, e che un’eccessiva competizione interna e un eccessivo ricorso al libero mercato possono risultare contraddittori e d’ostacolo alla capacità stessa dell’Ue di competere coi sistemi geopolitici concorrenti.

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Tags: Ursula Von Der Leyen

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