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Home » TELECOM/ La verità dietro alla “balla” della public company

TELECOM/ La verità dietro alla “balla” della public company

Zaccheo
Pubblicato 18 Giugno 2014
Telecom_CartelloR439

Infophoto

Telco, la holding che controllava Telecom Italia, sarà sciolta. Questo inevitabilmente cambia i destini della compagnia telefonica italiana, come spiega ZACCHEO

Qualcuno, per Telecom, ha già adoperato la ruvida metafora, ma toccherà ripeterla: che differenza c’è tra il “single” e il vedovo? Che il primo vive solo per scelta, il secondo perché un destino cinico e baro gli ha portato via la compagna di vita. Per questa ragione, chi dovesse abboccare alla zoppicante “vulgata” secondo la quale oggi Telecom Italia è diventata una “public company” prenderebbe un grossissimo granchio. La verità è ben altra.

La verità che lo scioglimento della Telco, la cassaforte nella quale Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo avevano volutamente racchiuso il 22,5% del capitale Telecom condividendolo al 40% con Telefonica, ha come suonato la campanella dell’ultimo giro per quello che resta della vecchia “Sip” pubblica e l’ha privata di un padrone vero. Oggi il principale singolo azionista di Telecom, all’indomani di un dissolvimento di Telco ormai avviato, è la spagnola Telefonica, con circa il 15% delle azioni, un colosso oberato di debiti, attratto dal mercato sudamericano che è l’unico quadrante internazionale in cui anche Telecom fa utili. Un socio pessimo, insomma, in clamoroso conflitto d’interessi – a dispetto dei giuramenti del contrario, di prammatica – che certo non vuol far crescere la partecipata e, semmai, vuole scalzarla da Argentina e Brasile.

I soci italiani – Mediobanca, Generali e Intesa: non scordiamocelo! – si sono squagliati (altro che “banche di sistema”!) per l’onesta (almeno quella) constatazione della monumentale incapacità gestionale dimostrata dalle gestioni che hanno insediato e sostenuto in Telecom dal 2007 a oggi: certo anni difficilissimi ma nei quali, tuttavia, nessuno è stato realizzato dei mille tentativi (se non altro) di risollevare la testa che il gruppo poteva compiere e che anche l’ex presidente Franco Bernabè, sia pur tardivamenre, ha tentato.

Oggi Telecom è gestita benino – come può esserlo un’azienda schiacciata da 28 miliardi di debito -dal bravo amministratore delegato Marco Patuano, ma strategicamente non ha le forze per andare da nessuna parte. È difesa da questa sua debolezza: non può essere scalata “a leva”, perché la cassa che genera non basterebbe più a pagare altri debiti che le dovessero piovere addosso; non ha mercato internazionale, Sudamerica a parte, e la zoppicante Italia non fa gola a nessuno. Ha potuto conservare una posizione di monopolio nel “fisso” talmente antistorica che prima o poi le verrà ridimensionata. In queste condizioni, può solo sopravvivere, aspettando semmai che il ciclo economico “cambi verso” e restituisca appeal all’intero carrozzone, nonostante tutto.

Più che vedova, diciamolo, Telecom è insomma orfana: orfana di un sistema che l’ha privatizzata malamente, l’ha lasciata in balìa dei raiders e dopo ha fatto finto di proteggerla ma continuando, in realtà, ad affossarla. Spiace per le centinaia e migliaia di grandi tecnici che l’hanno tenuta in vita e ancora ci riescono, e che meriterebbero ben altra valorizzazione. Ma forse sono appunto solo loro ciò che ancora permetterà a Telecom di rialzare la testa: le capacità di chi ci lavora, ai piani intermedi se non al vertice. Auguri…


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