Sabato 10 ottobre si celebreranno a Messina i funerali delle vittime dell’alluvione che si è abbattuta sulla città nei giorni scorsi. Pubblichiamo la testimonianza commossa di un messinese, Nicola Currò, condividendo il suo invito alla preghiera.
Domani a Messina si celebreranno i funerali delle vittime dell’alluvione che si è abbattuta sulla città nei giorni scorsi. Il tonfo al cuore causato dalle immagini dei corpi straziati e resi lerci dal fango, degli sfollati confusi e spaesati, degli occhi dei bimbi carichi di lacrime spingono a chiedersi: mio Dio com’è possibile che tutto questo possa accadere? Perché tanto dolore? Domande che provocano vertigine; domande pesanti e difficili da sostenere affidandosi solo alle proprie forze. Quando ciò avviene, infatti, si finisce per cedere alla tentazione di allontanare le domande scomode della vita dal proprio orizzonte di pensiero, orientandosi verso scorciatoie in grado di soddisfare, almeno nell’immediato, la sete di giustizia e di verità che determina il cuore. Così a chi punta il dito contro l’abusivismo edilizio si risponde – spesso in modo affrettato e superficiale – che il disastro non è stato provocato dalle abitazioni costruite sui greti dei torrenti o in zone ad alto rischio idrogeologico, ma dai vari condoni, succedutisi negli anni, o – peggio ancora – dalla mancanza di risorse economiche che non ha permesso, alle amministrazioni locali, la messa in sicurezza di territori della cui fragilità tutti sono a conoscenza. Ma i morti? Le loro famiglie? Gli sfollati? Niente, nel mainstream mediatico per loro c’è solo lo spazio di poche parole.
Il cuore dell’uomo però e indomito e non si accontenta. Il cuore vuole capire e giudicare, nel tentativo di trovare risposte che lo rendano più umano nel grande gioco della vita. Dinnanzi al dramma che ha colpito Messina, allora, vengono in mente le parole che don Giussani, nel 2003, scrisse subito dopo l’esplosione in cielo dello shuttle Columbia: “C’è un’unica spiegazione cha dà ragione di tutto ciò che è accaduto: la croce di Cristo; la Sua morte è la risposta di Dio ai nostri limiti e alle nostre ingiustizie. Ci sarebbe un orizzonte di mancanza di ragione in tutte le cose. Qualsiasi evento capiti non troverebbe mai risposta adeguata, se non ci fosse Cristo: Lui segna l’ultima vittoria di Dio sulla realtà umana; qualsiasi cosa accada, è la «misericordia» che legge tutto ciò che è umano. La misericordia: Dio compie la vittoria sul male dentro la storia come positività, è questo che dà la ragione a ciò che accade”.
Un giudizio così, è evidente, rende banale tutto il resto, trasformando in stucchevole retorica ogni polemica legata all’abusivismo, all’incapacità della politica di agire per il bene comune, all’avidità di profitto dei costruttori che non pensano alla sicurezza quando progettano case. Se tutto questo fosse vero – e probabilmente lo è – qual è il guadagno che si otterrebbe accontentandosi di risposte parziali? Sicuramente rabbia e, forse, un po’ voglia di vendetta. E dopo? Dopo che ci si è arrabbiati e vendicati, cosa rimane all’uomo? Ancora tanto dolore, mentre è la misericordia ciò di cui ha bisogno. Per l’uomo, continua don Giussani, “dire che Cristo «ha vinto» è un’espressione strana”, egli per “potere dire: «Ha vinto» deve fare una scelta: la scelta che il bene trionfi sul male. La scelta del bene e non l’insistente sottolineatura del male. E questo è innegabile che sia giusto: a priori è giusto, non è una spiegazione che possiamo dare noi, ma qualcosa che riconosciamo”.
Ecco cosa è necessario accada di fronte al dramma misterioso dell’alluvione, che le parole di don Giussani diventino sempre più esperienza quotidiana, esperienza viva. Usare la ragione così come la usa don Giussani cambia immediatamente prospettiva, per cui non è più la recriminazione l’aspetto più importante da perseguire, ma la voglia e la possibilità di condividere, anche solo nella preghiera, i bisogni di quelle tante persone che hanno perso tutto; condividere il loro bisogno per dare risposta adeguata al proprio desiderio di felicità: in caso contrario, ancora una volta, superato l’iniziale impatto emotivo, tutto scivolerebbe via lasciando tristezza e amarezza in bocca e alle lacrime si sostituirebbe l’alienazione… del nostro io innanzitutto.
Nicola Curro’, formatore professionale, Messina