Nel 2014 la crescita del Pil si porterà “decisamente” al di sopra dell’1%. E’ il governo italiano a farlo sapere nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def). Il profilo di crescita del Pil, spiega l’esecutivo, sarà contrassegnato da una sostanziale stabilizzazione nel secondo trimestre e da una crescita nella seconda parte dell’anno. Nonostante ciò, si legge ancora nella relazione, “a causa del trascinamento negativo proveniente dal 2012 e della prevista contrazione nella prima parte dell’anno, la variazione annua del Pil si manterrà negativa e pari al -1,3%”. All’interno della nota, il governo conferma anche che nel 2013 la pressione fiscale si attesterà al livello record del 44,4%, in flessione rispetto alla precedente previsione che indicava un rialzo fino al 45,3%. I dati contenuti nella relazione che anticipa la nota di aggiornamento al Def, però, non convincono affatto l’economista Paolo Raimondi, contattato da ilsussidiario.net, secondo cui «le stime calcolate non sono affatto realistiche».
Come mai?
Perché non tengono conto degli andamenti internazionali della crisi. Non avendo mai affrontato globalmente i problemi di fondo e le ragioni di questa crisi economica, il nostro Paese si ritrova costantemente di fronte a ostacoli senza possedere alcun strumento necessario per superarli. La situazione è quindi decisamente peggiore rispetto a quanto ci viene detto a livello nazionale e internazionale, e non è possibile continuare in questo modo.
Cosa crede sia necessario fare?
I problemi di fondo sono diversi e ugualmente rilevanti. Ci ritroviamo innanzitutto con una finanza, italiana e internazionale, totalmente fuori controllo. Questo crea condizioni, come abbiamo visto per esempio con Cipro, a cui non sarà mai possibile venire a capo, qualsiasi manovra o intervento si scelga di compiere, semplicemente perché il buco creato da derivati finanziari e bolle speculative, a cui si continua a non mettere mano, è talmente grande che non si può immaginare di reagire senza prima risolvere i problemi alla base.
Concentrandoci sull’Italia, quali misure crede siano necessarie per il futuro del Paese?
Bisogna iniziare a ragionare su diversi fronti, due in particolare: da una parte la creazione di credito di lungo termine produttivo, dall’altra far sì che le nostre imprese partecipino attivamente a una concreta ripresa economica. Vorrei però ribadire che, in assenza di una soluzione alle vere cause della crisi, anche queste misure risulterebbero inutili.
Ci parli del primo punto.
In Italia è completamente assente uno strumento di credito per lo sviluppo. In molti pensano che il credito provenga soltanto dal mercato, ma non è affatto così, soprattutto in un momento come quello attuale. Una delle cose che quindi bisognerebbe mettere in moto è una sorta di banca (o di fondo) per lo sviluppo che abbia capacità di emissione di credito di medio-lungo termine a basso tasso d’interesse.
Dove trovare però il capitale minimo per mettere in piedi un progetto di questo tipo?
Potremmo utilizzare parte del capitale di cui lo Stato dispone, sottoforma di immobili o di riserve auree, che non verrebbe quindi semplicemente venduto, ma utilizzato affinché diventi la base di capitale di uno strumento per lo sviluppo capace di emettere credito.
Come utilizzare successivamente queste risorse?
Innanzitutto in nuove infrastrutture, oltre al rinnovamento di quelle già esistenti, sulla linea dell’amministrazione Obama che proprio in questi giorni sta mettendo in piedi una Banca nazionale delle infrastrutture con cui prevede di effettuare 50 miliardi di spese immediate per le opere più urgenti.
Tornando a quanto emerso dalla nota del governo, come giudica il livello record della pressione fiscale?
E’ scontato ma opportuno dire che un livello del genere, previsto per il 2013 al 44,4%, è ormai straordinariamente alto, molto più di tanti altri Paesi europei. Inoltre, essendo “spalmato” su tutta l’economia, anche quella sommersa, in realtà potrebbe essere anche maggiore, con la conseguenza che si finisce con il pagare addirittura di più. E’ ovvio che non si può andare avanti in questo modo che non fa altro che soffocare le nostre industrie.
Emerge anche che il calo dello spread si farà sentire sulla spesa per interessi del governo italiano, che nel 2013 si attesterà a 83,9 miliardi di euro rispetto agli 89,2 miliardi di euro stimati in precedenza. Questa stessa spesa, nel 2014, è vista in crescita a 90,3 miliardi di euro. Nella speranza che lo spread non cambi, come possiamo evitare che vi siano ulteriori aumenti di questi tassi d’interesse?
L’Italia deve innanzitutto farsi promotrice di una battaglia contro le agenzie di rating internazionali, istituzioni per lo più americane, ma soprattutto private, che ogni qualvolta colpiscono con le loro inutili valutazioni (come l’ultima a opera di Fitch) comportano un’infinità di conseguenze estremamente negative. Oltre a questo, però, credo sia opportuno prevedere i 3 punti di cui abbiamo parlato in precedenza, utili a creare sviluppo, a far abbassare il livello di pressione fiscale e a rendere maggiormente competitive le nostre imprese: bisognerebbe dunque partecipare in modo più attivo a livello europeo alla ridefinizione delle regole della finanza, soprattutto nei confronti di quella speculativa, creare nuovo credito attraverso strutture nuove, o perlomeno utilizzando come punto di riferimento la Cassa depositi e prestiti, e infine essere decisamente più attivi a livello nazionale e internazionale su reali progetti di sviluppo, anche in collaborazione con altre nazioni.
(Claudio Perlini)