Come nell’asta Bot di lunedì, ieri il ministero dell’Economia ha fatto il pieno all’asta di Btp, collocando tutti i 6,25 miliardi di euro di titoli a tre e sette anni emessi. Nel dettaglio, sono stati venduti 4 miliardi di euro di triennali a un tasso tornato sopra l’1% all’1,07%, contro il minimo record dello 0,93% della precedente asta: la domanda è stata pari a 1,53 volte l’offerta. Inoltre, sono stati venduti 2,5 miliardi di euro di titoli con scadenza a sette anni, a un tasso in calo al 2,29%, contro il 2,44% della precedente asta: anche in questo caso la domanda è stata pari a 1,53 volte l’offerta. Infine, tanto per non farci mancare niente, è stato interamente assegnato l’importo massimo di un miliardo anche nel caso dei due trentennali off-the-run agosto 2034 e febbraio 2037. Insomma, l’entusiasmo degli investitori nei confronti della carta italiana va ben oltre i fondamentali economici ed è determinato essenzialmente dalla convinzione che la Bce opererà nuove misure espansive.
C’è un problema però e ce lo conferma Bankitalia, non il sottoscritto. Da quanto emerso dal supplemento al bollettino statistico, a marzo il controvalore del portafoglio di titoli di Stato nazionali detenuto dalle banche operanti in Italia è salito a 395,621 miliardi di euro dai 392,354 miliardi di febbraio. Insomma, sono le banche a comprare titoli come se non ci fosse un domani, temo a tutto discapito dell’erogazione di credito a famiglie e imprese: insomma, non è cambiato niente. Anzi, siamo ormai in area 400 miliardi di euro di detenzioni a fronte di sofferenze che nel loro trend di crescita annuale hanno registrato solo un lievissimo calo: +23% di marzo dal +24,3% di febbraio.
Il dato, ha specificato la Banca d’Italia, non è corretto per le cartolarizzazioni, ma tiene conto delle discontinuità statistiche: quindi, se dobbiamo far fede a questo, dobbiamo ancora scontare la reale capacità dei nostri istituti di vendere sul mercato dei fondi sofferenze e incagli e a quale prezzo da stornare a bilancio. E, come volevasi dimostrare, è in leggera contrazione l’attività creditizia, scesa del 3,3% rispetto al precedente -3,6% di febbraio. Nel dettaglio, i prestiti alle imprese sono calati del 4,4%, meno del -5,1% di febbraio, mentre i prestiti alle famiglie sono scesi dell’1,1% (-1,2% a febbraio).
Bankitalia ha inoltre comunicato i dati relativi ai tassi di interesse. I tassi sui finanziamenti erogati a marzo alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono risultati pari al 3,7% rispetto al 3,73% del mese precedente, mentre quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono calati al 9,53% dal 9,61% di febbraio. Per le aziende non finanziarie, i tassi d’interesse sui nuovi prestiti di importo fino a 1 milione di euro sono risultati al 4,21%, in calo dal 4,40% di febbraio, e quelli sui nuovi prestiti di importo superiore al milione sono invece saliti al 2,89% dal 2,79% precedente: ecco lo spread reale di cui vi parlavo la scorsa settimana, ovvero il differenziale tra i costi con cui si finanzia lo Stato e quello per le aziende, la cui dinamica è destinata a restare stagnante – e quindi letale per le imprese, soprattutto le più piccole – se non si riattiva il ciclo di erogazione e distribuzione del credito.
Anche perché, al netto delle aste piene (di banche), a marzo l’indice della produzione industriale, contrariamente alle attese degli economisti, che avevano previsto un leggero incremento mensile, ha fatto registrare una flessione dello 0,5% rispetto a febbraio, stando a dati Istat. Una variazione mensile positiva, segnala l’Istituto centrale di statistica, si rileva solo nel settore dei beni strumentali (+0,6), mentre risulta in diminuzione il settore dei beni di consumo (-3,2%) dell’energia (-0,5%) e dei beni intermedi (-0,1%). Nel complesso, quindi, si conferma come estremamente tenue il recupero produttivo in corso.
Non a caso, del resto, nelle previsioni congiunturali rilasciate dall’Istituto all’inizio di maggio si valuta che per il 2016 la crescita economica sarà intorno allo 0,6% (e l’Ocse “vede” l’Italia, per quest’anno con una crescita limitata allo 0,5%). Non resta che sperare in un recupero più deciso dell’economia italiana nel 2015, come fa l’agenzia di rating Moody’s, che ha indicato per il 2015 un possibile aumento del Pil nel nostro Paese fino al 2%. Ma come? Nell’unico modo possibile, ancorché rischioso: la Bce.
Tanto più che ieri la Bundesbank ha ribadito di essere pronta a sostenere l’azione dell’Eurotower, se sarà necessario, dopo che in precedenza il Wall Street Journal, citando sempre fonti della Buba, aveva fatto sapere che l’istituto centrale tedesco era pronto a sostenere misure di stimolo da parte della Bce a giugno, inclusi i tassi di deposito negativi, un’estensione dei finanziamenti a lungo termine (Ltro) e acquisti selettivi di cartolarizzazioni (Abs). Cadono quindi le ultime resistenze del controllore tedesco, il quale tuttavia vorrebbe un intervento focalizzato più sul credito che sugli strumenti tradizionali e condizionato a un abbassamento delle stime di inflazione per il 2016.
La scorsa settimana Draghi aveva chiarito che, prima di decidere, il board vuole vedere le proiezioni dello staff della Bce in uscita all’inizio del prossimo mese. Attualmente la Bce si aspetta un’inflazione all’1% per quest’anno, all’1,3% per l’anno prossimo e all’1,5% nel 2016, mentre lo staff degli economisti dell’Eurotower per la fine del 2016 si aspetta che l’inflazione arrivi intorno all’1,7%. La Buba ritiene che le previsioni di quest’anno verranno riviste al ribasso: «Se le previsioni della Bce per il 2016 rimarranno invariate, allora l’Istituto tedesco sarebbe riluttante a nuove misure di stimolo», ha precisato una fonte interna.
Per gli analisti di Rabobank, «l’apertura della Banca centrale più falco tra quelle dell’eurozona, cioè la Bundesbank, a misure di stimolo il prossimo mese rappresenta certamente uno sviluppo positivo. Ma il fatto che le aspettative su diverse di queste azioni siano già alte, potrebbe limitarne l’impatto». Ed è anche il mio timore, ovvero l’effetto placebo che già sta aiutando le nostre emissioni di titoli di Stato, favorite proprio dalla prezzatura da parte del mercato di un’azione della Bce: quell’effetto placebo reggerà fino alla decisione reale o svanirà prima?
Attenzione, perché con 400 miliardi di carta nei portafogli delle banche italiane, questa non è una variabile da poco. Anzi, è il discrimine tra potenziale ripresa e schianto totale, visti i dati macro della nostra economia. Speriamo bene.