I dati usciti settimana scorsa sull’andamento dell’economia italiana hanno fatto piazza pulita delle menzogne diffuse a piene mani in questi ultimi tempi da politici, governanti ed economisti da strapazzo, in appoggio al Titanic euro in forte sbandamento. Ecco i dati: nuovo record del debito pubblico italiano, arrivato a 2140 miliardi di euro. E Pil italiano in discesa (di nuovo) al -0,1%, tendenziale -0,5% su base annua. Dopo nove trimestri di cali continui, il Pil era tornato a salire, facendo ipotizzare un inizio di ripresa; ma la ripresa non ci poteva essere e non c’è, il Pil è tornato a calare.
Cambiano le facce al governo, ma quelli degli ultimi anni sono tutti portatori della medesima ideologia liberista e fallimentare. Non può esserci ripresa, se non c’è ripresa dell’occupazione e dei consumi. Come scritto qualche tempo fa, una possibile ripresa poteva dipendere solo da un trucco dei conti, cosa che purtroppo è puntualmente avvenuta. Sono cambiate le metodologie di calcolo del Pil a livello internazionale, per cui, con i nuovi parametri, il Pil ne ha guadagnato circa il 2%. Nonostante questo, con la catena dei fallimenti in atto e in continuo aggravamento, anche con il nuovo metodo il Pil italiano scende.
E questo mette a nudo i calcoli fasulli del recente Def, il principale documento di programmazione finanziaria del governo. Il rapporto debito/Pil doveva stabilizzarsi quest’anno al 133%, per poi scendere dal prossimo anno e arrivare addirittura sotto il 120% entro il 2018. Un piano ambiziosissimo, anzi impossibile con l’euro e con le politiche di austerità in atto, e ora sbugiardato dai numeri. Ma anche questa non è la prima volta. C’è la ripresa: ma la ripresa dei fondelli. Nel grafico a fondo pagina potete vedere i dati delle previsioni dei vari governi, paragonati ai dati reali. Come si vede, storicamente le previsioni dei governi appartengono al mondo dei sogni. E con i nuovi numeri, se la matematica non è un’opinione, il nostro debito rispetto al Pil è ormai al 136% o più.
Per la ripresa occorrono delle scelte drastiche, che possono essere di due tipi fondamentali. Il primo è quello della svalutazione monetaria (se si ha una moneta propria). Il secondo è quello dei licenziamenti, della disoccupazione, della riduzione dei salari, dell’aumento della precarizzazione. Così si riduce il costo del lavoro e le aziende momentaneamente tornano a vendere a prezzi minori. Ma solo temporaneamente, poiché il taglio dei salari non fa che ridurre i consumi e accentuare la crisi. Così le aziende tornano a soffrire. Questa è la spirale della deflazione.
Lo hanno ben capito all’estero, fuori dall’area euro. Paragonando i Pil, troviamo che la Gran Bretagna cresce del 3,1%, la Svezia pure, l’Ungheria (che si è sdegnosamente rifiutata di entrare nell’euro da quando è arrivato al potere l’attuale primo ministro Orban che ha nazionalizzato la banca centrale, per cui è stato accusato di essere un fascista, un neonazista, ecc.) al 3,2%. E il Giappone? L’economia giapponese, dopo anni di stagnazione, ora può mostrare una strabiliante crescita del 5,9%, grazie alle politiche di espansione monetaria praticate e imposte dal governo Abe (il cattolico Abe).
Lì possono, hanno una loro moneta. Hanno pure un debito pubblico altissimo rispetto al Pil, sono arrivati al 240% e oltre. Ma come faranno? Come mai gli investitori continuano a non considerare pericoloso quel debito? Ma è semplice, quello è un debito in moneta sovrana, una moneta della quale lo Stato può decidere liberamente di stamparne quanta ne vuole. Quel debito, qualsiasi sia la sua entità, non sarà mai a rischio. E con tutti i prodotti finanziari che girano per il mondo, i titoli di stato giapponesi sono considerati prodotti sicuri. Ovviamente.
Questo è il nodo cruciale della sovranità monetaria. Se si possiede la sovranità della moneta, si può fare di tutto, si può anche sbagliare, ma è difficile rovinare un’economia. Al contrario, se non si ha sovranità monetaria, se si utilizza una moneta straniera (e l’euro ha la particolarità di essere una moneta straniera per tutti!), allora la gestione monetaria diventa difficilissima e ogni errore diventa un danno che si propaga e di cui non si possono gestire gli effetti. Diventa difficile gestire errori, e diventa invece facile fare la cosa sbagliata. A questo aggiungiamo pure che le istituzioni europee si stanno impegnando moltissimo, a fare le cose sbagliate.
I risultati li stiamo vedendo. Ma presto i risultati li vedranno anche i nostri politici. La protesta sta montando e penso che alle prossime elezioni ne vedremo delle belle. Un vecchio detto recita “chi semina vento raccoglie tempesta”. Poi passa la tempesta, e toccherà a noi raccogliere i cocci e ricostruire. Dobbiamo saperlo fin d’ora.