Tra dicembre 2014 e gennaio 2015 la produzione industriale in Italia è diminuita dello 0,7%. È quanto emerge dagli ultimi dati Istat, secondo cui la variazione è comunque positiva per l’energia (+0,5%) e per i beni di consumo (+0,1%). In peggioramento invece i beni strumentali (-1,8%) e quelli intermedi (-0,2%). Confrontando gennaio 2014 e gennaio 2015, la diminuzione della produzione complessiva è stata invece del 2,2%. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Che cosa significano questi dati alla luce dell’attuale contesto economico?
I dati positivi vengono tutti da circostanze esterne. In Italia funziona l’export, grazie a imprese medio-grandi che già vivono sui mercati internazionali. Consumi e investimenti invece continuano a essere al palo. Bisogna quindi trovare il modo per rilanciare questi due fattori. Il fatto che i tassi d’interesse siano così bassi a causa del Quantitative easing non implica automaticamente che arrivi più credito alle imprese.
Perché il credito non arriva alle imprese?
C’è tutta una serie di meccanismi inceppati. Da un lato abbiamo un sistema bancario che è poco orientato al credito, in quanto è gravato dai requisiti europei di Basilea che sono obiettivamente troppo esigenti. Poiché le banche sono imprese massimizzatrici di profitto, sono più orientate ad attività non creditizie in quanto il credito è un’attività a basso rendimento. Il sistema è inoltre bancocentrico e quindi le imprese hanno pochi sistemi alternativi di accesso ai finanziamenti. Poi però abbiamo anche una classe imprenditoriale che è poco spinta a investire, e quindi gli investimenti sono fermi da troppo tempo.
Che cosa occorre perché l’Italia possa beneficiare delle condizioni internazionali favorevoli?
Il fattore su cui insisterei di più è la durata delle cause civili, rispetto a cui siamo dopo Cipro e Malta, e ciò penalizza pesantemente l’attività imprenditoriale in Italia. Il secondo fattore è la banda larga, rispetto a cui siamo gli ultimi nell’Ue: occorre dunque rilanciare quella che rappresenta “l’Autostrada del Sole” del nostro tempo. Pur in condizioni internazionali di gran lunga migliori rispetto al passato, l’Italia è più indietro rispetto ad altri Paesi dell’Ue.
Quali sono gli altri “handicap” che ci penalizzano?
L’Italia risente di una scarsa propensione dei privati a investire e di un’insufficiente attenzione del governo verso il mondo delle Pmi. Questo è un esecutivo molto sbilanciato verso le grandi imprese, ma che fatica a capire che cosa occorra per fare ripartire quelle piccole.
In che modo è possibile ridurre la durata delle cause civili?
Tecnicamente la cosa è fattibile, il problema è la resistenza dei soggetti coinvolti. Occorre informatizzare le procedure delle cause e cercare di disingolfare i canali giudiziari. Gli italiani ricorrono troppo spesso ai tribunali e bisogna cercare di risolvere i contenziosi attraverso arbitrati e conciliazioni. Va snellita e accelerata la procedura civile, adottando per esempio le regole che si usano nelle cause di lavoro. Purtroppo c’è un interesse di tutte le parti in causa, non solo di magistrati e avvocati, ad avere tempi più lunghi. In questo modo, per esempio, un soggetto coinvolto può evitare di subire a breve le conseguenze di una causa. Ci vuole dunque un intervento energico da parte dell’esecutivo.
Che cosa ne pensa del piano del governo sulla banda larga?
Bisogna accelerare e porre le condizioni affinché ci sia questo passaggio il più rapidamente possibile. Per stimolarlo occorre un mix di investimenti pubblici e privati. Gli incentivi pubblici alla realizzazione dell’infrastruttura sono fondamentali, e l’accesso alle risorse europee va ricercato proprio in vista di questa priorità. Dal piano Juncker dobbiamo chiedere in prima battuta le risorse per questo tipo di investimento.
(Pietro Vernizzi)