A luglio aumenta sia la fiducia dei consumatori, che cresce a 111,3 da 110,2 del mese precedente, sia quella delle imprese, che passa a 103,3 da 101,2. È quanto emerge dai dati Istat, secondo cui l’indice complessivo riferito ai consumatori migliora grazie a un incremento delle componenti personale, corrente e futura. La componente economica peggiora invece a 130,1 da 131,7 di giugno. Per Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza, «se aumenta la fiducia dei consumatori, ma questi ultimi non hanno più soldi a disposizione, la domanda interna non riparte. Se vogliamo avere più ripresa occorre sostituire i tagli dell’Ires previsti dal governo con una riduzione delle tasse sui redditi da lavoro».
La fiducia di consumatori e imprese aumenta. Per lei è sufficiente?
Non è sufficiente a invertire l’andamento negativo dei mesi precedenti, perché se i redditi disponibili non crescono la gente non consuma. L’effetto è asimmetrico. Quando la fiducia è negativa ciò incide sui consumi; quando invece migliora, siccome i consumatori sono vincolati dalla scarsa disponibilità di risorse e non hanno accesso al credito, non si materializza comunque un effetto positivo sulla domanda finale.
Lei ha proposto di ridurre le tasse sui redditi da lavoro anziché tagliare l’Ires…
Proprio così. Dagli ultimi dati infatti emerge che la produzione industriale cresce e che nel tempo la fiducia delle imprese è scesa in modo più limitato. Sul lato dei consumatori si osserva invece che nei primi cinque mesi del 2016 le vendite al dettaglio sono lievemente decrescenti in volume e pressoché stagnanti in valore. Se il governo avesse maggiori risorse a disposizione potrebbe tagliare sia l’Ires, sia le tasse sui redditi da lavoro. Dal momento però che i soldi sono limitati è meglio privilegiare la categoria dei consumatori anziché le imprese, perché se i primi avessero più soldi in tasca potrebbero aumentare le loro spese di consumo.
Nello specifico lei quali componenti delle tasse sui redditi vorrebbe tagliare e in che percentuale?
Non è questo a essere importante. Se ci fossero maggiori risorse si potrebbero tagliare le aliquote, ridurre il loro numero o compiere un’operazione complessiva di riforma fiscale. Vista però la scarsità di fondi a disposizione la strada più percorribile è modificare la struttura delle detrazioni, rendendo queste ultime più uniformi tra famiglie e ottenendo così un taglio della pressione fiscale.
Per il ministro Padoan, “la spending review non è morta e va portata avanti cercando sempre di migliorare i risultati”. Secondo lei, quali risultati concreti sta producendo?
I risultati conseguiti finora riguardano i cosiddetti consumi intermedi e i redditi da lavoro della pubblica amministrazione, che sono voci della spesa pubblica sotto controllo. Il motivo principale di questi risultati è che di fatto da tanti anni sono stati congelati gli aumenti di stipendio nel pubblico impiego. Nello stesso tempo è stato bloccato l’aumento della spesa per gli acquisti della pubblica amministrazione, ma ciò non vuol dire che ci sia stata effettivamente una riduzione consistente della spesa.
Per ridurre le tasse sui redditi sarebbe necessaria una spending review più consistente?
La mia proposta non è quella di aumentare i tagli alla spesa pubblica. Dal momento che la riduzione dell’Ires è già stata inserita nel bilancio, basterebbe prendere le risorse destinate per questa voce e utilizzarle per la riduzione dell’Irpef. Qualora poi la spending review fosse più incisiva, ciò potrebbe garantire delle risorse addizionali.
Secondo lei, la domanda dei consumatori rischia di essere influenzata negativamente anche dai recenti attentati terroristici?
Il punto è che ormai gli attentati non sono più concentrati su grandi obiettivi come Parigi o New York, ma avvengono anche in piccole città di provincia. Alla fine quindi la gente continuerà a fare la vita di prima. Semplicemente saremo più infelici, un po’ come avviene agli israeliani, perché sapremo che ci potrà andare male.
La gente userà di meno l’aereo o andrà meno al ristorante?
Finché non ci abitueremo, ci sarà la tendenza ad acquistare beni non di mercato bensì di alto consumo. Dopo un po’ però ci si abituerà, un po’ come ci si abitua ad altre cose, e quindi si riprenderà ad andare al ristorante piuttosto che in aeroporto. Ci vorrebbe del tempo per riprogettare l’intera società in funzione della minaccia terroristica.
(Pietro Vernizzi)