il cessate il fuoco non c'è, ma al summit in Alaska Trump e Putin, Usa e Russia, inaugurano una svolta promettente nelle relazioni bilaterali -

Le mani dei giornalisti si alzano inutilmente: Putin e Trump abbandonano la sala della conferenza stampa. Il summit ristretto è terminato, e il mondo, per ora, deve farsi bastare le dichiarazioni del presidente russo e di quello americano. Il resto, ciò che tutti vogliono sapere, a quali condizioni si fermerà la guerra, verrà discusso da Trump con gli alleati europei, con Zelensky e la Nato.



“Era solo l’inizio” commenta a caldo Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa. Lo sottolinea anche la brevità del summit ristretto tra i due leader. Ma è un inizio promettente”.

Per quale motivo, generale?

Putin ha svolto tre punti molto importanti. Il primo è aver detto pubblicamente che i russi sono disposti a lavorare sulle garanzie di sicurezza dell’Ucraina. Oltre che su quelle della Russia, ovviamente.



Il secondo punto?

Riguarda la collaborazione commerciale con gli Stati Uniti. Putin ha citato lo spazio, l’hi-tech, l’Artico. Quello dell’Artico è uno scenario che entrambe le potenze reputano di enorme interesse per entrambi.

Punto numero tre?

La necessità di evitare uno scontro. Occorre fare di tutto, ha detto il presidente russo, per non arrivare a un punto di non ritorno in caso di divergenze o ostilità, come lui stesso, Putin, aveva suggerito a Biden. Qui a mio avviso c’è un’allusione non solo all’Ucraina, ma anche al Medio Oriente e ad altre parti del mondo dove incomprensioni tra Russia e Stati Uniti potrebbero manifestarsi.



La sua sintesi è positiva?

Sì, perché la novità vera è la ripresa degli accordi bilaterali. Questi rapporti bilaterali interesseranno il conflitto ucraino, ma anche le relazioni commerciali. L’inizio del discorso di Putin parla chiaro. Il riferimento alla cooperazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale è politicamente decisivo, perché l’Alaska ne fu un punto strategico. Fu passando dall’Alaska che gli americani fornirono a Stalin equipaggiamenti e armamenti per combattere i tedeschi sul fronte orientale. Uniti dunque contro il nemico comune di allora, quel nazismo che oggi è presente in Ucraina.

Insomma, eravamo alleati e dobbiamo continuare ad esserlo. Per fare cosa?

Per dettare le regole. Mosca e Washington detteranno le nuove regole e gli altri si adegueranno.

Intende Kiev e la Nato?

Sì. Poco fa Fox News ha detto che sono già partite le telefonate di Trump a Zelensky e agli europei.

A proposito di Trump. Qual è la sua impressione?

È stato più vago nel tirare le somme di questo primo incontro, più sbrigativo, più ambiguo di Putin. Ha comunque ribadito l’attenzione alla dimensione economica. I russi, come Lavrov ha dichiarato prima del summit, ora si aspettano un alleggerimento delle sanzioni. Poiché vi sono pochi dubbi che gli Stati Uniti lo faranno, ci si aspetta che lo stesso faccia l’Europa.

Da cosa è dipesa secondo lei l’ambiguità di Trump?

Dalla sua insoddisfazione. Il motivo è evidente, e la conferma è già arrivata dal New York Times, che ora gli rinfaccia una mancata svolta sul cessate il fuoco. Che non è stato accettato dalla Russia.

È sorpreso?

No. Come ho detto, questo era l’inizio. Un inizio promettente, ma la guerra continua.

(Federico Ferraù)

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