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Home » DAVID LEAN/ “L’arte perduta” di un maestro del cinema

DAVID LEAN/ “L’arte perduta” di un maestro del cinema

Leonardo Locatelli
Pubblicato 16 Aprile 2016
Lean_DavidR439

David Lean

Sono trascorsi 25 anni dalla morte di David Lean, montatore, regista e sceneggiatore inglese. Tanti suoi film che val la pena rivedere. Ce ne parla LEONARDO LOCATELLI

Siamo ormai nel pieno del «mese più crudele», come ne parlò – nel primissimo verso di The Waste Land (1922) – il poeta statunitense (poi naturalizzato britannico) T. S. Eliot. Una settimana ancora e si potranno dire conclusi i due anni di celebrazioni shakespeariane intercorsi tra la ricorrenza dei 450 anni dalla nascita (1564) e quella dei 400 dalla morte (1616) del Bardo, ben più che Vate nazionale della terra di Albione, ma patrimonio dell’intera umanità. Oggi ricorre però il quarto di secolo dalla scomparsa di un’altra grandissima figura che, a un certo punto della propria carriera, cominciò a portare la sua meticolosissima perizia (non solo tecnica) di storyteller per fotogrammi – prima ancora della sua britishness – in giro per il mondo, per riprenderlo rigorosamente in pellicola da settanta millimetri, da proiettarsi obbligatoriamente nel buio di una sala cinematografica: «Non dimenticherò mai di essere stato 15 mesi nel deserto, 8 nella giungla, di aver vissuto in una carovana per un anno, o nella foresta di Ceylon, o il modo con cui ho conosciuto Venezia o la Spagna: viaggi eccitanti come le gigantesche vacanze dei bambini». 

Il celebre – e assai celebrato: 16 opere firmate da dietro la macchina da presa in 42 anni di attività, con 28 Premi Oscar all’attivo su 58 nominations – montatore, regista e sceneggiatore David Lean si congedò infatti da questa vita il 16 aprile 1991 all’età di 83 anni, sconfitto da un tumore alla gola, a sei settimane dall’inizio previsto delle riprese del suo nuovo film, Nostromo, un adattamento dell’omonimo romanzo (1904) di Joseph Conrad, il progetto incompiuto al quale era maggiormente legato. Solo quindi agli occhi dei non addetti ai lavori poteva apparire come un incipit alquanto bizzarro quello scelto il giorno seguente da “The Washington Post” per aprire il suo articolo di necrologio (sotto l’emblematico titolo The Lost Art of David Lean): «David Lean è morto troppo giovane e troppo presto». 

Classe 1908, genitori (poi separatisi) di fede quacchera (l’andare al cinema è visto come un immorale spreco di tempo!), già dal 1930 egli cura il montaggio di svariate pellicole che dapprima lo fanno conoscere come eccellente tecnico e in seguito lo impongono alla ribalta del settore come il miglior editor del cinema britannico, motivo per cui viene contattato da Noël Coward, il principale autore teatrale dell’epoca ed esponente della commedia brillante. «Noël Coward mi disse: Caro Lean, faccio un film sulla marina, vuole aiutarmi?… Per me gli attori erano un mistero. Ma Noël sapeva occuparsene alla perfezione. Io mi sono incaricato dell’aspetto tecnico: posizione della macchina da presa, scelta degli obiettivi… Ho avuto fortuna… Noël si annoiava in fretta: quando non recitava spariva, così ho preso in mano il tutto… Una fortuna straordinaria!». Così il diretto interessato ricorda il suo esordio alla regia per Eroi del mare / Il cacciatorpediniere Torrin (1942), grazie al quale è però Coward – il vero “motore” dell’opera, essendone soggettista, sceneggiatore, interprete e autore delle musiche – a portarsi a casa un Oscar speciale nominale «per lo straordinario contributo alla produzione del film». Per parte sua, Lean ne cura (non accreditato) il montaggio: certo non una novità. 

Da allora seguono però altri titoli che egli dirige finalmente “in proprio” e contribuendo alla sceneggiatura di molti tra questi: La famiglia Gibbon (1944); Spirito allegro (1945); Breve incontro (1945), «il più vicino alla mia sensibilità» (come ha modo di dichiarare), un successo nazionale e internazionale (nel 1946 il film vince il Gran Prix alla prima edizione del Festival di Cannes, un premio che inizia a far parlare di British Renaissance e di seconda industria cinematografica dopo Hollywood); i due adattamenti letterari (di altissima qualità) da Charles Dickens,Grandi speranze (1946) e Le avventure di Oliver Twist (1948, Premio per la migliore scenografia al Festival di Venezia); Sogno d’amanti (1949); L’amore segreto di Madeleine (1950); Ali del futuro / Oltre la barriera del suono(1952) e Hobson il tiranno (1954, Orso d’oro a Berlino), prodotto dalla potentissima London Films di Alexander Korda e nel quale Charles Laughton si esibisce in uno dei suoi ruoli più memorabili. 

Da qui in avanti ha invece inizio la sua carriera “mid atlantic” (un concetto sintetizzabile in capitale americano e maestranze inglesi): Tempo d’estate (1955); Il ponte sul fiume Kwai (1957), oltre un anno di lavorazione con riprese in esterni a Ceylon e più di 3 milioni di dollari di budget, il primo film britannico a vincere un Oscar come miglior film dell’anno; Lawrence d’Arabia (1962), 3 anni di lavorazione e 15 milioni di dollari di budget; Il dottor Zivago (1965); La figlia di Ryan (1970), la cui risposta della critica lo devasta a tal punto da tenerlo lontano dal grande schermo per i successivi 14 anni. Si arriva così a Passaggio in India (1984), in occasione del quale torna a occuparsi (da solo) sia della sceneggiatura che del montaggio, nell’anno che vede però trionfare Amadeus di Miloš Forman. 

Tra i progetti ipotizzati e mai portati a termine vanno invece citati – oltre alla perdita più cospicua, il già menzionatoNostromo (1986-1991) – Gandhi (1956-1972), accarezzato in diversi momenti della carriera e poi realizzato nel 1982 da Richard Attenborough, che proprio Lean aveva fatto esordire come attore in Eroi del mare; Galileo (1968);Il Bounty (1977-1980), i cui sopralluoghi sono alla base della vicenda da lui stesso girata in Australia per il documentario televisivo Lost and Found – The Story of Cook’s Anchor (1979); La mia Africa (1982), adattamento a partire dall’omonima opera (1937) di Karen Blixen, poi abbandonato a favore di Passaggio in India ed ereditato da Sydney Pollack; infine L’impero del sole, basato sul romanzo autobiografico (1984) di James Graham Ballard e passato poi all’amico Steven Spielberg, cui aveva chiesto un aiuto – poi non concretizzatosi – per la produzione diNostromo. 

Difficile esaurire in un puro elenco “l’arte perduta di David Lean”. Molto meglio recuperarla e gustarsela da cima a fondo in immagini in movimento.


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