Ieri alla Prima della Scala erano asesnti grandi nomi istituzionali italiani. C'era però la Senatrice a vita Liliana Segre
Ieri sera sul palco d’onore della Scala – proscenio di vita pubblica a livello internazionale – non c’era nessun esponente fra i massimi delle istituzioni italiane. Un certo distacco della politica nazionale verso la metropoli lombarda è parso palpabile; sensazione in parte corretta dal significativo rientro di un’altra diserzione annunciata alla vigilia.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è affacciato alla Scala per l’ultima volta nel 2022, raccogliendo un’ovazione da parte della platea sulle note di Fratelli d’Italia. Con lui sul palco c’era anche la Premier Giorgia Meloni, appena entrata in carica. Entrambi, da allora, non si sono più fatti vedere a Milano per Sant’Ambrogio. Se ne sono tenuti lontano anche per la serata di ieri, peraltro non del tutto ordinaria.
Con “Lady Macbeth” – del russo sovietico Dmitri Shostakovich, avversato da Stalin – ha esordito alla Scala il nuovo sovrintendente Fortunato Ortombina: candidato dal Governo Meloni e proveniente dalla Fenice di Venezia. Per la cronaca, gli orchestrali della Scala hanno tenuto un flashmob preventivo in piazza contro “le politiche del Governo per lo spettacolo”. Vi si è sentita l’eco della “resistenza” dei colleghi della Fenice contro la nomina di Beatrice Venezi a direttore musicale.
Il padrone di casa, il Sindaco di Milano Beppe Sala, nel 2022 aveva accomodato con Mattarella e Meloni anche la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Nei due anni successivi ha dovuto invece provvedere a sistemare la seconda carica dello Stato: il Presidente (milanese) del Senato Ignazio La Russa. La cui presenza – fra l’altro assente Mattarella – aveva subito fatto inarcare qualche sopracciglio dirimpetto al teatro: a Palazzo Marino, amministrato dal centrosinistra; e nella Ztl meneghina.
È stato però il Quirinale a sbrogliare abilmente la matassa: suggerendo a Sala di dirottare l’invito presidenziale alla Senatrice a vita Liliana Segre (l’unica nominata da Mattarella), milanese e habitué della Scala.

Fino a sabato mattina non solo La Russa ma anche Segre non erano annunciati alla Prima 2025. All’ultimo la Senatrice ha invece aderito all’invito, prendendo posto al centro del “palcone”.
Una persona di 95 anni – internata ad Auschwitz quando ne aveva 15 – ha sempre tutte le ragioni insindacabili per decidere minuto per minuto la sua partecipazione a un evento pubblico. Non per questo la presenza della senatrice è parsa archiviabile senza annotazioni, all’interno del protocollo del Sette Dicembre ambrosiano.
Segre è sembrata anzitutto supplire l’assenza di tutte le alte cariche repubblicane attorno a Sala: quando mancano fra l’altro solo 60 giorni all’apertura delle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina d’Ampezzo. Questo è avvenuto dopo che l’amministrazione milanese è stata messa in seria discussione nei mesi scorsi da un’inchiesta della Procura sull’urbanistica cittadina. Le ombre allungate dagli inquirenti paiono peraltro essersi già dissolte. A ridosso di Sant’Ambrogio, inoltre, il Governo ha varato una normativa edilizia nazionale, che avrà un importante effetto sanatorio sul “caso Milano” alle cronache recenti.
Un profilo politico diverso è parsa assumere la sfida inequivocabile lanciata dalla testimone della Shoah alla piazza antagonista che – come da 59 anni – ha salutato la Prima contestandola. Quest’anno tutto si è svolto in non imprevedibile sintonia con il vento pro-pal e anti-Israele che soffia da mesi potente anche lungo la penisola. Segre è sembrata quindi rientrare in un ruolo pieno di icona vivente del contrasto a ogni antisemitismo, in un momento peraltro molto complesso.
La guerra di Gaza ha segnato un prima e un dopo per Israele e per l’intera comunità ebraica. La stessa Segre non è stata immune da un cambiamento radicale di clima.
La Senatrice si era sentita in dovere di dichiarare – da subito e con accenti non dubbi – la sua preoccupazione verso l’azione militare del Governo israeliano dopo il Sette Ottobre. In questo la sua posizione è sempre stata ben distinta da quella dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, compatta dietro Gerusalemme. Segre si è spinta in seguito a deplorare possibili “crimini di guerra” a Gaza, anche se ha voluto esplicitamente negare le accuse di “genocidio”, rivolte a Israele anche dall’interno della diaspora ebraica.
Un atteggiamento costantemente riflessivo non ha tuttavia risparmiato alla Senatrice crescenti contestazioni da parte delle piazze antagoniste pro-pal (gli stessi dubbi della vigilia sulla presenza della Senatrice alla Scala sono stati verosimilmente legati a valutazioni sulla sua sicurezza). Un nodo problematico è certamente affiorato quando il Quirinale (oggi retto da un dem cattolico) ha voluto difendere – almeno inizialmente – la libertà di manifestazione dei giovani pro-pal: attirandosi fra l’altro crescenti segnali critici da parte dell’Ucei.
Le relazioni fra odio antisemita e critica allo Stato di Israele (che continua a rivendicare il suo diritto a difendersi da minacce portate da forze islamiche) sono da molti mesi al centro di un dibattito politico-culturale intenso, a livello internazionale. A esso ha partecipato la stessa Segre. E le posizioni via via espresse – sempre irremovibili nel difendere la Memoria della Shoah – sono parse riverberarsi anche sul suo ruolo di presidente della Commissione parlamentare di studio dei fenomeni e linguaggi di odio.
Questa è stata istituita nel 2019 essenzialmente su iniziativa del Pd, appena tornato al Governo dopo il “ribaltone”, sull’onda di una campagna mediatica finalizzata a frenare l’avanzata elettorale della Lega. La commissione Segre è nata dunque sulla narrazione di un antisemitismo “nero” combattuto dalle forze del centro-sinistra: quelle del “campo largo” ricomposto nel Conte-2 fra dem e M5S, poi battuto al voto 2022 e finito all’opposizione. Sei anni dopo lo scenario politico-mediatico appare rovesciato.
Il Governo di destra-centro non ha mai fatto mancare a Israele un appoggio geopolitico condiviso con Usa e Ue, pur con crescenti preoccupazioni e critiche per la situazione umanitaria a Gaza. Né Palazzo Chigi ha mai lesinato alla comunità ebraica nazionale la protezione effettiva delle forze dell’ordine, pur sotto l’attenzione pensosa del Quirinale.
È stata invece la sinistra ad aver acceso in Italia le piazze contro Israele, con accenti antisionisti talora prossimi alla linea rossa dell’antisemitismo. Il ruolo del Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e quello della relatrice Onu sui territori palestinesi, Francesca Albanese, sono emblematici della stagione corrente: che ha avuto un episodio visibile – sebbene non violento come altri – anche ieri sera in Piazza della Scala, costellata di bandiere palestinesi.
La commissione Segre è tuttora attiva e presieduta dalla Senatrice, che non ha mai fatto nulla per nascondere una sua sensibilità vicina alle forze politiche del centrosinistra (il figlio Alberto Belli Paci si è peraltro appena iscritto a Forza Italia). La commissione – riconfermata dopo la vittoria elettorale del centrodestra – si è però finora astenuta dal proporre disegni di legge contro l’odio, di cui l’antisemitismo resta il simbolo, tornato emergenza anche in Italia.
Sia Fdi che la Lega hanno depositato propri progetti di normative di contrasto all’antisemitismo, sulla falsariga di quelle esistenti negli Usa e in diversi Paesi europei. Solo negli ultimi giorni ha invece fatto rumore un disegno di legge sul tema promosso da Graziano Delrio, ex ministro Pd nell’era Renzi e tuttora Senatore di punta dell’area cosiddetta “riformista” del partito, animata principalmente dai cattodem.
L’iniziativa ha subito diviso il partito guidato da Elly Schlein (di padre israelita). La “maggioranza” del Pd si è mostrata preoccupata delle critiche al ddl Del Rio subito giunte da Avs e – più in generale – delle reazioni prevedibili da M5S e dalle piazze di Landini.
Il ddl Delrio, in ogni caso, segna una dissociazione palese dei cattodem dalla parabola di ritorno della sinistra a uno storico posizionamento anti-israeliano e anti-americano. E pare marcare un passaggio politico più ampio. Se da un lato il Quirinale cattodem sembra allontanarsi dalle posture pro-pal – tenute anche in funzione dialettica con il Governo Meloni – la questione antisemitismo aggiunge corpo al dossier politico nazionale più rilevante del momento: il riassetto interno del Pd all’inizio di una lunga campagna elettorale.
Se il ddl Derrio appare dunque per alcuni versi un “ddl Segre” che sarebbe stato problematico lanciare dalla commissione, proprio alla Scala la Senatrice è sembrata tenere una sorta di “presidio” a Milano. Contro le piazze antagoniste. E a fianco di un sindaco-manager con un dna bipartizan: espressione dell’establishment ambrosiano fin dai tempi dell’Expo 2015, ma per due volte vittoriosamente sostenuto dal Pd e dalle altre forze della sinistra cittadina.
Di Sala si è ripetutamente parlato come possibile leader federatore dell’opposizione contro l’attuale maggioranza imperniata su Fdi e Lega. E non è mancata – anche nel foyer della Scala – la voce che quella di ieri sera potrebbe essere stata l’ultima Prima di Sala come Presidente della Fondazione lirica. Il Sindaco, si dice non da oggi, potrebbe lasciare dopo le Olimpiadi: in anticipo rispetto alla scadenza già fissata per la primavera 2027.
Si aprirebbe così per il Comune di Milano una contesa elettorale di livello e tensione nazionale in un anno privo di scadenze rilevanti. E la metropoli lombarda diverrebbe un laboratorio sia in vista delle politiche del 2027 che delle regionali dell’anno successivo. Sempre che entrambe le legislature non si chiudano per qualche ragione in anticipo.
Chi potrebbe essere il Sindaco-anfitrione di Milano della Prima 2026? Eletto con quale maggioranza?
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