A volte sembra quasi anacronistico pronunciare la parola carità. Ma sono i risultati della carità a essere sorprendenti. Matteo Colaninno, vicepresidente del Gruppo Piaggio e presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, ragiona su che cosa vuol dire carità e su che cosa significa sostenere un’opera di carità. E, alla fine, verifica anche che posto occupa la carità nello sviluppo e nella coesione sociale. “Anzitutto, la carità per me è aiutare il prossimo. E’ anche avere sensibilità. Aggiungo pure che è una fortuna per chi lo può fare, per chi ha il privilegio di poter aiutare chi ha bisogno. Alla fine si può dire che uno realizza anche se stesso con la carità. Che cosa vuole dire poi sostenere un’opera di carità? Significa comprendere una necessità, significa comprendere un bisogno, le difficoltà delle persone con cui viviamo e quindi significa ampliare la propria sensibilità umana oltre il ritmo della vita di oggi. Significa uscire dal frastuono, dal rumore di fondo di questa società, che appiattisce e non fa percepire le grandi difficoltà degli altri. La carità, che io chiamo anche solidarietà, ha un posto straordinariamente importante nella coesione sociale, anche se oggi è difficile riconoscerlo per il frastuono di fondo che confonde gli uomini e impedisce loro di esprimersi. Spesso la vita è tale che non ci si ferma ad ascoltare noi stessi. Quando ho potuto farlo, sono rimasto soddisfatto e realizzato. Io credo che, in un concetto più ampio, la carità è quella che può offrire a tutti una chance”.
Ma non sono solo le persone che possono fare, anche le grandi aziende possono fare. Di fronte alla sfida della povertà, che esiste anche in un Paese come l’Italia, ci si chiede inevitabilmente se è adeguato il concetto di responsabilità sociale dell’azienda. In altri termini, ci si pone il quesito se un promotore di sviluppo si interroghi su questa grande sfida. “Un grande azienda, piccola, media, grande, ha un’antica vocazione di responsabilità sociale. Quasi istintivamente, forse non strutturalmente, le famiglie industriali italiane hanno sempre dimostrato un radicamento, una vicinanza alla comunità dove opera l’impresa. Da qui nasce il concetto di responsabilità sociale, degli interessi che oltrepassano l’impresa stessa e entrano nella società. Paradossalmente, un’azienda sana che mira a durare nel tempo, è un’azienda che pone importanti premesse di carattere sociale e quindi ha l’obiettivo di vincere la sfida della povertà. L’azienda sana porta benessere, un benessere generale, una crescita. Quindi deve esaltare i grandi valori del lavoro, che sono poi la realizzazione dell’uomo nel lavoro. E’ certamente vero che una grande impresa ha una responsabilità in più per la sua filiera produttiva più ampia, per la sua dimensione e il coinvolgimento di migliaia di persone sul territorio. In più può aprirsi a mercati internazionali, in aree del mondo dove la povertà è un fattore dominante. Dovrebbe esserci un occhio strategico delle grandi imprese in questa fase di globalizzazione, per portare la propria capacità e la propria spinta di crescita fino al benessere in Paesi dove è sconosciuto. Oggi si può vedere che nuove fasce di popoli stanno uscendo da una situazione di sottosviluppo”.
Vicepresidente della Piaggio, un’azienda che è leader mondiale nel suo settore, Matteo Colaninno ha ricavato una grande esperienza per aver fatto investimenti in Paesi con un tasso di sviluppo inferiore al nostro e quindi più poveri. “L’esperienza fatta, e soprattutto quella che si sta facendo in India, Cina e ora anche Vietnam, è positiva a tutti gli effetti. In quei Paesi si sta spostando il baricentro della crescita economica mondiale, in quei Paesi ci sono tassi di crescita straordinari, ma allo stesso tempo c’è anche bisogno di benessere di fronte a enormi fasce di povertà. Convivono queste grandi contraddizioni: un’esplosione della crescita e contraddizioni sociali laceranti. Tutto questo, penso, avrà assestamenti positivi. E la nostra esperienza è positiva”.
Ma non c’è solamente il Sud del mondo, esiste anche un Sud italiano, il Mezzogiorno, dove il livello di povertà è il doppio della media nazionale. Il problema è come abbattere questo livello, magari ponendosi il problema di nuove politiche sociali o nuove politiche di sviluppo. “Posso dire che alla luce dell’esperienza che sto facendo tra i giovani imprenditori italiani, guardo al futuro con ottimismo. In questi anni stiamo vivendo una novità importante sotto il profilo culturale. C’è una autentica discontinuità di sensibilità e di cultura nei giovani in senso lato rispetto al passato, ma soprattutto tra i giovani imprenditori del Mezzogiorno d’Italia. Questa è, a mio avviso, una precondizione. E’ un fatto che anticipa una conquista virtuosa in termini di sviluppo. Ci troviamo di fronte a una svolta che ha una radice culturale, cioè la voglia di intraprendere. Quali sarebbero le politiche di sviluppo necessarie? Beh, intanto accompagnare all’investimento culturale quegli investimenti che hanno un effetto moltiplicatore rispetto allo sviluppo. Quindi è venuto il momento di varare grandi reti infrastrutturali, ma non solo materiali, anche quelle immateriali. Basta guardare a certi distretti del Mezzogiorno che hanno fatto queste politiche, per rendersi conto che c’è uno straordinario effetto moltiplicatore in termini di crescita e di sviluppo. Devo dire, ovviamente, che non sono certo che il Sud centrerà il bersaglio della crescita, ma sono certo che ci sono delle condizioni per cui questo può avvenire. C’è un grande salto culturale in avanti che verifico incontrando tanti giovani. Io vedo che è scattata un scintilla e quindi potremmo vedere un grande cambiamento”.
La società italiana ha sempre visto una continua diffusione di opere di carità. Si può dire anzi che il ruolo sociale della carità non è mai venuto meno, ma è aumentato nel tempo. “Io credo moltissimo nel valore della sussidiarietà e particolarmente nel valore della sussidiarietà orizzontale. Più volte abbiamo analizzato questo problema. Penso che sia fondamentale, determinante, in certi settori che abbiamo tutti ben presente. Il privato che persegue interessi collettivi lo si deve apprezzare per la sua efficacia”.
Ma non sono solo le persone che possono fare, anche le grandi aziende possono fare. Di fronte alla sfida della povertà, che esiste anche in un Paese come l’Italia, ci si chiede inevitabilmente se è adeguato il concetto di responsabilità sociale dell’azienda. In altri termini, ci si pone il quesito se un promotore di sviluppo si interroghi su questa grande sfida. “Un grande azienda, piccola, media, grande, ha un’antica vocazione di responsabilità sociale. Quasi istintivamente, forse non strutturalmente, le famiglie industriali italiane hanno sempre dimostrato un radicamento, una vicinanza alla comunità dove opera l’impresa. Da qui nasce il concetto di responsabilità sociale, degli interessi che oltrepassano l’impresa stessa e entrano nella società. Paradossalmente, un’azienda sana che mira a durare nel tempo, è un’azienda che pone importanti premesse di carattere sociale e quindi ha l’obiettivo di vincere la sfida della povertà. L’azienda sana porta benessere, un benessere generale, una crescita. Quindi deve esaltare i grandi valori del lavoro, che sono poi la realizzazione dell’uomo nel lavoro. E’ certamente vero che una grande impresa ha una responsabilità in più per la sua filiera produttiva più ampia, per la sua dimensione e il coinvolgimento di migliaia di persone sul territorio. In più può aprirsi a mercati internazionali, in aree del mondo dove la povertà è un fattore dominante. Dovrebbe esserci un occhio strategico delle grandi imprese in questa fase di globalizzazione, per portare la propria capacità e la propria spinta di crescita fino al benessere in Paesi dove è sconosciuto. Oggi si può vedere che nuove fasce di popoli stanno uscendo da una situazione di sottosviluppo”.
Vicepresidente della Piaggio, un’azienda che è leader mondiale nel suo settore, Matteo Colaninno ha ricavato una grande esperienza per aver fatto investimenti in Paesi con un tasso di sviluppo inferiore al nostro e quindi più poveri. “L’esperienza fatta, e soprattutto quella che si sta facendo in India, Cina e ora anche Vietnam, è positiva a tutti gli effetti. In quei Paesi si sta spostando il baricentro della crescita economica mondiale, in quei Paesi ci sono tassi di crescita straordinari, ma allo stesso tempo c’è anche bisogno di benessere di fronte a enormi fasce di povertà. Convivono queste grandi contraddizioni: un’esplosione della crescita e contraddizioni sociali laceranti. Tutto questo, penso, avrà assestamenti positivi. E la nostra esperienza è positiva”.
Ma non c’è solamente il Sud del mondo, esiste anche un Sud italiano, il Mezzogiorno, dove il livello di povertà è il doppio della media nazionale. Il problema è come abbattere questo livello, magari ponendosi il problema di nuove politiche sociali o nuove politiche di sviluppo. “Posso dire che alla luce dell’esperienza che sto facendo tra i giovani imprenditori italiani, guardo al futuro con ottimismo. In questi anni stiamo vivendo una novità importante sotto il profilo culturale. C’è una autentica discontinuità di sensibilità e di cultura nei giovani in senso lato rispetto al passato, ma soprattutto tra i giovani imprenditori del Mezzogiorno d’Italia. Questa è, a mio avviso, una precondizione. E’ un fatto che anticipa una conquista virtuosa in termini di sviluppo. Ci troviamo di fronte a una svolta che ha una radice culturale, cioè la voglia di intraprendere. Quali sarebbero le politiche di sviluppo necessarie? Beh, intanto accompagnare all’investimento culturale quegli investimenti che hanno un effetto moltiplicatore rispetto allo sviluppo. Quindi è venuto il momento di varare grandi reti infrastrutturali, ma non solo materiali, anche quelle immateriali. Basta guardare a certi distretti del Mezzogiorno che hanno fatto queste politiche, per rendersi conto che c’è uno straordinario effetto moltiplicatore in termini di crescita e di sviluppo. Devo dire, ovviamente, che non sono certo che il Sud centrerà il bersaglio della crescita, ma sono certo che ci sono delle condizioni per cui questo può avvenire. C’è un grande salto culturale in avanti che verifico incontrando tanti giovani. Io vedo che è scattata un scintilla e quindi potremmo vedere un grande cambiamento”.
La società italiana ha sempre visto una continua diffusione di opere di carità. Si può dire anzi che il ruolo sociale della carità non è mai venuto meno, ma è aumentato nel tempo. “Io credo moltissimo nel valore della sussidiarietà e particolarmente nel valore della sussidiarietà orizzontale. Più volte abbiamo analizzato questo problema. Penso che sia fondamentale, determinante, in certi settori che abbiamo tutti ben presente. Il privato che persegue interessi collettivi lo si deve apprezzare per la sua efficacia”.