“Una società che non combatte e risolve il problema della povertà è una società dove la fiducia cala, una società che cresce meno, una società che diventa più violenta”. A parlare è Corrado Passera, consigliere delegato e Ceo di Intesa-San Paolo, uno dei più grandi gruppi bancari europei. “L’impegno per combattere la povertà – continua – è giusto in sè. Ma è anche indispensabile se si vuole tenere insieme la società e non rischiare derive pericolose: non è certo il nostro caso, ma la storia dimostra che quando una parte della società entra in uno stato di stress insopportabile, ne soffre la democrazia, e la tenuta delle istituzioni diventa a rischio”.
Inevitabile chiedergli che ne pensi dell’ipotesi di garantire un “salario minimo” a tutti. Una soluzione, per molti. Secondo altri, bisognerebbe invece percorrere la strada del micro-credito di grandi banche per individui e famiglie, oppure ipotizzare un allargamento del credito laddove il welfare non arriva o non può arrivare. “Viviamo comunque – dice Passera – in un continente e in un paese che assicura un livello di welfare che il resto del mondo si sogna. Quando qualcuno disdegna il welfare come conquista della nostra società occorre ricordarlo e non dimenticarsi che il resto del mondo guarda all’Europa, e per certi aspetti all’Italia, con grande invidia. Detto questo, l’attuale welfare, nella sua sostenibilità soprattutto nel campo della sanità, dell’assistenza, della previdenza, sia per l’effetto dell’invecchiamento (che è un’alta conquista dell’umanità) e della natalità, sia per l’effetto dell’immigrazione, è purtroppo a rischio e deve ristrutturarsi per sopravvivere e per continuare a garantire il suo ruolo”.
Occorrono quindi altre soluzioni. “E’ chiaro che il “pubblico” – prosegue Passera – non sarà in grado di assicurare da solo il livello di servizi di cui una società in grande trasformazione come la nostra avrà bisogno nei prossimi anni. Questo lascia spazio al ruolo che il non-profit, l’impresa sociale, il volontariato potranno svolgere nel nostro paese. Con le nostre banche e le fondazioni nostre azioniste, nel rispetto di un’antica tradizione, abbiamo creato una banca dedicata al terzo settore e all’impresa sociale: ne aiuterà la nascita e lo sviluppo. Non amo fare auto-pubblicità, ma è un’iniziativa importante. Si chiama Banca Prossima, e parte con un patrimonio di tutto rispetto: 120 milioni di euro, 100 specialisti, 6mila filiali a disposizione per servire ancora meglio le 50.000 organizzazioni che già si affidano al nostro Gruppo e attivarne di nuove. Gli utili verranno reinvestiti nella banca stessa e nel sociale”.
Resta aperto il problema di una politica del credito. “Dobbiamo ulteriormente facilitare l’accesso al credito a tutti quei settori, come l’impresa sociale, che lo meritano ma che hanno avuto difficoltà in passato a trovare ascolto. Il caso del progetto Pan (Progetto Asili Nido) che ha portato in poco più di due anni all’apertura di 260 asili nido ne è un esempio emblematico. Lei accennava per esempio al micro-credito. Nel Sud del mondo – siamo impegnati in Malawi – il micro-credito consiste in prestiti di pochi dollari, da noi il micro-credito prende forme diverse. Micro-credito è, per esempio, il “prestito d’onore” agli studenti, micro-credito è finanziare i cassintegrati fino a quando l’Inps interviene con il sussidio, oppure finanziare le famiglie meno abbienti per assumere una badante”.
Tra un intervento come questo e il “minimo salariale”, la posizione di Passera è molto elastica.
“C’è spazio per tutto – dice -, sia per un terzo settore più forte, sia per ammortizzatori sociali di cui l’Italia oggi manca. Oggi soffriamo di rigidità antistoriche e di una tutela inadeguata contro la disoccupazione, quando dovremmo invece puntare su maggiore flessibilità e adeguati ammortizzatori sociali. Dobbiamo evitare però gli errori fatti in altri paesi, dove un “eccesso” di ammortizzatore sociale disincentiva l’uscita dalla disoccupazione stessa”.
Affrontando un tema caldo come quello della povertà, non può non parlare, come sempre accade nel nostro Paese, di contraddizioni geografiche, crescita, redistribuzione della ricchezza. “Su molti interventi c’è grande consenso, il fatto è che poi non facciamo ciò che diciamo. Un caso emblematico – prosegue Passera – è quello delle infrastrutture e dei decenni necessari a realizzarle. I nostri meccanismi decisionali in tutti i settori delle istituzioni e della Pubblica amministrazione si stanno bloccando e il costo per il paese è enorme. Quanto alla redistribuzione della ricchezza, è un tema squisitamente politico. Invece dobbiamo sentirci tutti responsabili di accelerare la crescita economica sostenibile. Se non c’è crescita economica non ci sono risorse da redistribuire. Da troppi anni non cresciamo abbastanza. Una insufficiente crescita economica per un periodo prolungato porta a far scoppiare i conti pubblici o a una riduzione intollerabile del welfare. La prima cosa da fare per accelerare la crescita? Premiare di più le imprese che investono e crescono”.
Di fronte a questa complessità, c’è la semplicità del Banco Alimentare, che cerca di far fronte al problema della povertà. “Quella del Banco Alimentare è una formula straordinaria per efficacia. Aiuta concretamente milioni di persone, contribuendo a risolvere la necessità primaria del cibo. Lo fa in maniera continuativa e non estemporanea con una macchina organizzativa molto efficiente e poco costosa. In più coinvolge nel dono milioni di persone, che è un fatto fondamentale. Lo stesso risultato economico raggiunto con un unico assegno avrebbe immensamente meno forza di quello che scatena il Banco Alimentare, grazie alla larghissima partecipazione che sa sviluppare”.
Don Luigi Giussani parlava di semplice atto di carità cristiana. “La carità – conclude Passera – ha un particolare significato per un cristiano e magari per un laico ne ha un altro. Ma il dono e il donarsi è uno dei grandi motori della società. Oggi si tende da parte di troppi a ridurre la società alla sua componente economica, considerando i cittadini solo dei consumatori e in generale le persone solo come portatrici di interessi particolari. In realtà la società si tiene insieme e si evolve grazie a valori che trascendono ciò che è conveniente e ciò che è contingente, grazie proprio a questo darsi senza misura, comunque senza calcolo”.
Inevitabile chiedergli che ne pensi dell’ipotesi di garantire un “salario minimo” a tutti. Una soluzione, per molti. Secondo altri, bisognerebbe invece percorrere la strada del micro-credito di grandi banche per individui e famiglie, oppure ipotizzare un allargamento del credito laddove il welfare non arriva o non può arrivare. “Viviamo comunque – dice Passera – in un continente e in un paese che assicura un livello di welfare che il resto del mondo si sogna. Quando qualcuno disdegna il welfare come conquista della nostra società occorre ricordarlo e non dimenticarsi che il resto del mondo guarda all’Europa, e per certi aspetti all’Italia, con grande invidia. Detto questo, l’attuale welfare, nella sua sostenibilità soprattutto nel campo della sanità, dell’assistenza, della previdenza, sia per l’effetto dell’invecchiamento (che è un’alta conquista dell’umanità) e della natalità, sia per l’effetto dell’immigrazione, è purtroppo a rischio e deve ristrutturarsi per sopravvivere e per continuare a garantire il suo ruolo”.
Occorrono quindi altre soluzioni. “E’ chiaro che il “pubblico” – prosegue Passera – non sarà in grado di assicurare da solo il livello di servizi di cui una società in grande trasformazione come la nostra avrà bisogno nei prossimi anni. Questo lascia spazio al ruolo che il non-profit, l’impresa sociale, il volontariato potranno svolgere nel nostro paese. Con le nostre banche e le fondazioni nostre azioniste, nel rispetto di un’antica tradizione, abbiamo creato una banca dedicata al terzo settore e all’impresa sociale: ne aiuterà la nascita e lo sviluppo. Non amo fare auto-pubblicità, ma è un’iniziativa importante. Si chiama Banca Prossima, e parte con un patrimonio di tutto rispetto: 120 milioni di euro, 100 specialisti, 6mila filiali a disposizione per servire ancora meglio le 50.000 organizzazioni che già si affidano al nostro Gruppo e attivarne di nuove. Gli utili verranno reinvestiti nella banca stessa e nel sociale”.
Resta aperto il problema di una politica del credito. “Dobbiamo ulteriormente facilitare l’accesso al credito a tutti quei settori, come l’impresa sociale, che lo meritano ma che hanno avuto difficoltà in passato a trovare ascolto. Il caso del progetto Pan (Progetto Asili Nido) che ha portato in poco più di due anni all’apertura di 260 asili nido ne è un esempio emblematico. Lei accennava per esempio al micro-credito. Nel Sud del mondo – siamo impegnati in Malawi – il micro-credito consiste in prestiti di pochi dollari, da noi il micro-credito prende forme diverse. Micro-credito è, per esempio, il “prestito d’onore” agli studenti, micro-credito è finanziare i cassintegrati fino a quando l’Inps interviene con il sussidio, oppure finanziare le famiglie meno abbienti per assumere una badante”.
Tra un intervento come questo e il “minimo salariale”, la posizione di Passera è molto elastica.
“C’è spazio per tutto – dice -, sia per un terzo settore più forte, sia per ammortizzatori sociali di cui l’Italia oggi manca. Oggi soffriamo di rigidità antistoriche e di una tutela inadeguata contro la disoccupazione, quando dovremmo invece puntare su maggiore flessibilità e adeguati ammortizzatori sociali. Dobbiamo evitare però gli errori fatti in altri paesi, dove un “eccesso” di ammortizzatore sociale disincentiva l’uscita dalla disoccupazione stessa”.
Affrontando un tema caldo come quello della povertà, non può non parlare, come sempre accade nel nostro Paese, di contraddizioni geografiche, crescita, redistribuzione della ricchezza. “Su molti interventi c’è grande consenso, il fatto è che poi non facciamo ciò che diciamo. Un caso emblematico – prosegue Passera – è quello delle infrastrutture e dei decenni necessari a realizzarle. I nostri meccanismi decisionali in tutti i settori delle istituzioni e della Pubblica amministrazione si stanno bloccando e il costo per il paese è enorme. Quanto alla redistribuzione della ricchezza, è un tema squisitamente politico. Invece dobbiamo sentirci tutti responsabili di accelerare la crescita economica sostenibile. Se non c’è crescita economica non ci sono risorse da redistribuire. Da troppi anni non cresciamo abbastanza. Una insufficiente crescita economica per un periodo prolungato porta a far scoppiare i conti pubblici o a una riduzione intollerabile del welfare. La prima cosa da fare per accelerare la crescita? Premiare di più le imprese che investono e crescono”.
Di fronte a questa complessità, c’è la semplicità del Banco Alimentare, che cerca di far fronte al problema della povertà. “Quella del Banco Alimentare è una formula straordinaria per efficacia. Aiuta concretamente milioni di persone, contribuendo a risolvere la necessità primaria del cibo. Lo fa in maniera continuativa e non estemporanea con una macchina organizzativa molto efficiente e poco costosa. In più coinvolge nel dono milioni di persone, che è un fatto fondamentale. Lo stesso risultato economico raggiunto con un unico assegno avrebbe immensamente meno forza di quello che scatena il Banco Alimentare, grazie alla larghissima partecipazione che sa sviluppare”.
Don Luigi Giussani parlava di semplice atto di carità cristiana. “La carità – conclude Passera – ha un particolare significato per un cristiano e magari per un laico ne ha un altro. Ma il dono e il donarsi è uno dei grandi motori della società. Oggi si tende da parte di troppi a ridurre la società alla sua componente economica, considerando i cittadini solo dei consumatori e in generale le persone solo come portatrici di interessi particolari. In realtà la società si tiene insieme e si evolve grazie a valori che trascendono ciò che è conveniente e ciò che è contingente, grazie proprio a questo darsi senza misura, comunque senza calcolo”.