I temi del lavoro e del salario sono già al centro del dibattito postelettorale. La nuova maggioranza ha indicato alcune sue priorità, fra queste la detassazione degli straordinari. È bene discutere di questa proposta senza pregiudizi, valutandola in rapporto a tutti i problemi del lavoro e dell’economia, tenendo conto delle diverse urgenze, dei soggetti beneficati dalle varie misure, e dei relativi costi. Non mancano nei programmi le misure a costo zero (ma non politicamente costose): dalla semplificazione delle procedure e della burocrazia che pesano sulle imprese e sul lavoro, alle liberalizzazioni, che servono a rompere protezioni e rendite limitative della crescita e contrarie a una giusta distribuzione della ricchezza. Ma altre proposte sono costose: a cominciare dalla detassazione degli straordinari proposta dal PdL e di quella dei salari a premio preferita dal PD. Sono costosi anche altri interventi di politica del lavoro: dagli incentivi all’occupazione agli ammortizzatori sociali. Un confronto fra maggioranza e opposizione che voglia essere costruttivo dovrebbe impostarsi in base alla valutazione di costi e benefici delle varie proposte.
Nella sequenza delle priorità dovrebbero essere privilegiati anzitutto gli interventi che stimolano la crescita e la competitività. Questa è l’urgenza prima del paese ed è un punto comune ai programmi sia del PdL sia del PD. Entrambi i programmi prevedono misure di stimolo alla crescita: in particolare gli incentivi alle imprese che fanno ricerca e sviluppo, puntando sull’innovazione e sulla qualità, misure avviate dal governo Prodi ma da sviluppare.
La finalizzazione alla crescita deve guidare anche le politiche del lavoro. Il superamento delle polemiche ideologiche sulle flessibilità, proprie del recente passato, dovrebbe aiutare questa ricerca. Alcuni interventi hanno effetti di medio periodo, come gli investimenti nella formazione professionale, e continua. Questo non dovrebbe oscurarne la priorità, data la debolezza formativa della nostra popolazione attiva. Se l’attuale maggioranza guarderà in modo lungimirante agli interessi del paese, l’opposizione non potrebbe che sostenerla.
Altre misure, come la detassazione dei salari, sono di impatto immediato e urgente per elevare il potere di acquisto dei lavoratori. La limitatezza delle risorse va considerata nel decidere l’ambito della detassazione. Questa è un’esigenza generale dei lavoratori, ma applicare la riduzione fiscale a tutti comporterebbe benefici ridotti (qualche decina di euro al mese). Così si spiega la scelta di concentrare l’ambito di applicazione della misura. La proposta del PD di privilegiare il sostegno ai salari a premio negoziati al II livello ha un doppio effetto positivo: non solo di aumentare i salari netti, ma anche di stimolare lavoratori e imprese a lavorare meglio. Mentre quella del PdL incentiva solo a lavorare più a lungo.
L’esigenza di aumentare i margini di flessibilità interna alle aziende è apprezzabile, anche perché riduce le pressioni ad accrescere la flessibilità cosiddetta esterna (lavori atipici e licenziamenti). Ma tale esigenza si può soddisfare anche in altri modi: ad esempio favorendo gli orari flessibili in generale.
Concentrare il sostegno fiscale sui premi salariali negoziati stimola il decentramento della contrattazione a livello d’azienda o territoriale, da tutti ritenuto necessario per modernizzare la nostra struttura contrattuale, inoltre spinge il sindacato a essere più vicino alle esigenze produttive: un obiettivo utile per chi creda alla funzione positiva di un sindacato moderno, da sollecitare e non da combattere. Questa sembra essere l’intenzione anche del PdL o di quella parte di esso che non vuole riaprire scontri sociali. La detassazione dei premi salariali negoziati deve peraltro trovare corrispondenza in una più decisa azione delle parti sociali per riformare la contrattazione e per allargarne l’ambito ora limitato a una parte ridotta del mondo produttivo. La detassazione dello straordinario, nella versione proposta dal PdL, è di più immediata applicazione, e non richiede esplicite intese sindacali. Ma l’esigenza di un uso regolato è sollevato anche dalla parte del sindacato (Bonanni) più disponibile a esaminare senza pregiudizi tale proposta.
Inoltre la detassazione dello straordinario ha un’applicazione limitata in quanto beneficia di fatto soprattutto il lavoro maschile, fino al punto di sollevare possibili dubbi di discriminazione a danno del lavoro femminile. Favorire l’occupazione femminile è di grande impatto macroeconomico, anche maggiore degli interventi sullo straordinario. Lo dimostrano i casi di successo, da ultimo la Spagna, che deve al sua forte crescita a una massiccia partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Per rendere possibile questa partecipazione, non basta, come sembra pensare Sacconi, la liberalizzazione del part time. Gli ostacoli al lavoro femminile dipendono dalla difficoltà per le donne di conciliare le loro opzioni di lavoro con le scelte di vita familiare. E vanno rimosse con misure favorevoli alla conciliazione, previste nel programma del PD: più servizi di cura accessibili, più congedi per i genitori, detassazione delle spese di cura per le donne che lavorano. Certo, è possibile combinare le varie misure, per ottenere un intervento “crash” sui salari, come vorrebbe Sacconi; ma questo pone il problema delle risorse necessarie. Già la detassazione degli straordinari ha costi valutati nell’ordine di miliardi di euro; e non si ripaga agevolmente, anche puntando sulla emersione del lavoro nero, come testimonia l’esperienza francese di Sarkozy.
Un confronto utile richiede che si valutino i costi delle varie proposte e i loro beneficiari per i vari gruppi di soggetti destinatari: nel caso specifico gli uomini piuttosto delle donne. La stessa valutazione di costi/benefici si deve fare per altre proposte di politica attiva del lavoro non meno urgenti. Mi riferisco all’esigenza di incentivare la stabilizzazione dei lavoratori, specie giovani, di favorire la diffusione dell’apprendistato, ora limitata; di estendere la formazione continua degli adulti. Esigenze analoghe si pongono per sostenere il cosiddetto invecchiamento attivo, cioè le opportunità di lavoro degli ultracinquantenni; e sul fronte del welfare per attuare una riforma generale degli ammortizzatori sociali, da anni sacrificata ad altre priorità, con effetti drammatici per la gestione delle crisi economiche, specie delle piccole aziende e dei loro dipendenti.
Come si vede, si tratta di proposte diverse che vanno discusse senza pregiudizi ma senza improvvisazioni o demagogia, raffrontando i costi relativi con l’utilità per la crescita del paese e per il benessere delle persone.