Numeri certi e definitivi ancora non ci sono. E questo è già un primo grosso problema. In mancanza d’altro, prendiamo per buoni quelli dell’Inps: i lavoratori che hanno sottoscritto un accordo di conclusione anticipata del rapporto con le proprie aziende in cambio di un incentivo, e che rischiano di restare senza reddito da pensione e da lavoro per gli effetti della riforma Fornero (che ha innalzato radicalmente l’età pensionabile), sono 392.000. Per ora, il governo ne ha salvaguardati circa 130mila, consentendogli di accedere al regime previdenziale secondo le norme precedenti alla riforma. E questo è il secondo grosso problema: posto che i numeri vadano precisati, resta una marea di lavoratori a rischio. A più riprese, Governo e Parlamento si sono impegnati per individuare, di volta in volta, le risorse per tutelare quelli in maggiore prossimità del rischio. Resta da capire come intenda affrontare la questione il prossimo esecutivo. Abbiamo chiesto ad Attilio Rimoldi, segretario nazionale del Dipartimento politiche socio-sanitarie, famiglia, economia sociale della Fnp-Cisl, quali aspettative nutre per il futuro.
Cosa chiedete al prossimo governo?
Tanto per cominciare che si giunga a una definizione definitiva della questione degli esodati. Con la prossima legislatura, anzitutto, il walzer delle cifre che si è prodotto in questi ultimi mesi non si dovrà replicare. Il prossimo governo dovrà dichiarare senza indugi quanti sono. Fornendo la cifra esatta di coloro che hanno diritto alle tutele secondo i criteri precedenti alla riforma della Fornero, distinguendoli da coloro che esodati non sono, ma persone che hanno fatto una scelta ben precisa, ricevendone, in cambio, un cospicuo incentivo.
L’obiezione del governo è sempre stata la carenza di risorse.
Le risorse ci sono, e sono recuperabili, a partire dall’eliminazione degli sprechi, presenti a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica; è necessario, inoltre, insistere nella lotta all’evasione fiscale. Non si tratta di porre in essere sistemi repressivi, quanto di far capire ai cittadini, sul piano culturale, che pagare rappresenta un dovere di solidarietà nei confronti della propria nazione. E’ possibile, inoltre, risparmiare sulla sanità. Non attraverso i tagli lineari sin qui adottati. Ma, ad esempio, implementando e potenziando quelle misure che consentono di seguire le cronicità attraverso cure domiciliari, riservando i posti letto esclusivamente per i casi acuti.
Oltre agli esodati, quali sono le priorità, sul fronte pensionistico, del prossimo governo?
Si dovrà superare il blocco delle rivalutazioni. Saranno aumentate del 3% esclusivamente quelle fino a tre volte la minima. Restano fuori, quindi, sei milioni di cittadini. Molti dei quali hanno assegni previdenziali decisamente ridotti. Basti pensare che stiamo parlando di persone che percepiscono assegni di circa 1000 euro netti, per i quali diventa piuttosto problematico sostenere l’aumento del costo della vita. Pensiamo, inoltre, che sia necessario dare risposta al problema della non autosufficienza, che sta ormai diventando un dramma sociale.
Secondo lei, come dovrebbe intervenire l’esecutivo?
Credo che sia necessario istituire un nuovo modello di welfare comunitario, più vicino alla gente, ove il non profit, il terzo settore e l’impresa sociale siano più partecipi nella progettazione, a non si limitino a essere strumenti per intervenire laddove non riesce lo Stato. Ovviamente, considerando le diversità sul piano nazionale, lo Stato dovrà pur sempre garantire i livelli assistenziali minimi, finanziandoli attraverso la fiscalità generale. Ma il resto, va lasciato all’iniziativa della società.
(Paolo Nessi)