La Fiat avrebbe discriminato i lavoratori iscritti alla Fiom al momento di effettuare circa 2mila assunzioni nel passaggio tra la vecchia Pomigliano e la Newco. E’ quanto ha stabilito una sentenza del tribunale di Roma, che ha condannato la multinazionale italiana ad assumere 145 cassaintegrati iscritti al sindacato di Maurizio Landini. Ilsussidiario.net ha chiesto a Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi, di commentare questo provvedimento.
Professore, su quali norme si basa la sentenza?
E’ fondata sul decreto legislativo 216/2003, che è una norma di attuazione di una direttiva comunitaria in materia di parità di trattamento in relazione a episodi di discriminazione. Il tribunale di Roma ha accolto la domanda di Fiom e dei lavoratori che hanno deciso di agire in via autonoma rispetto al sindacato, perché si sarebbe verificata una discriminazione in funzione dell’esclusione dalla Newco di tutti i lavoratori iscritti a Fiom.
Come è stata dimostrata?
Su base statistica risulterebbe altamente improbabile il fatto che siano stati assunti circa 2mila dipendenti e che nessuno di questi sia iscritto a Fiom. Sulla base di questa rilevazione statistica e su questa improbabilità, il giudice ha ritenuto che l’esclusione dei lavoratori iscritti alla Fiom non fosse un caso, ma avesse un intento discriminatorio. Poiché la legge prevede che qualora si provi che ciò è avvenuto il soggetto discriminato abbia diritto alla rimozione della condotta illegittima, in questo caso i lavoratori hanno diritto all’assunzione.
La ritiene quindi una sentenza conforme alla normativa?
Per questo giudizio bisogna andare nel merito della vicenda. Il quadro della situazione dal punto di vista normativo è chiaro, più difficile è entrare nel caso concreto per stabilire se i dipendenti non siano stati assunti per ragioni davvero discriminatorie. Questo lo può capire soltanto chi ha letto attentamente le carte e conosce bene la situazione. In questo caso la Fiom ha provato a fare valere un dato statistico, e il giudice lo ha ritenuto rilevante ai fini dell’applicazione della norma.
Qual è il senso della norma cui si è ispirata la sentenza?
Sotto il profilo della “ratio legis”, il senso è quello di evitare qualsiasi forma di discriminazione. Esiste tuttavia un altro principio con il quale bisogna contemperare questo divieto di discriminazione, e cioè il principio della libertà di iniziativa economica privata previsto dall’articolo 41 della Costituzione.
Che cosa significa in pratica?
Significa che il datore di lavoro è libero di assumere chi vuole, in funzione dei suoi criteri di selezione, e questo deve essere un principio che va comunque rispettato. Se poi nella scelta delle assunzioni si prova uno specifico intento discriminatorio, allora in questo caso ciò non può essere considerato legittimo e ci sono dei rimedi giurisdizionali a questo comportamento.
In che modo un datore di lavoro può conoscere il fatto che il dipendente è iscritto a un determinato sindacato?
Il datore di lavoro effettua mensilmente le trattenute sindacali in funzione di delega per la riscossione diretta in busta paga. Può sapere quindi a quale sindacato è iscritto ciascun dipendente. Un conto però è l’iscrizione a un sindacato, un’altra una serie di caratteristiche come il convincimento politico personale, su cui un datore di lavoro ha meno una possibilità di verifica nel concreto.
(Pietro Vernizzi)