Il Consiglio dei ministri sulla spending review è stato convocato per questo pomeriggio. Molto probabilmente stasera si saprà qualcosa di certo sul piano di tagli all’interno del pubblico impiego. A poco valgono le rassicurazioni del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, che ha garantito che non ci saranno tagli lineari, noti per operare in maniera rapida e senza discrimine; e che il prepensionamento del 20% dei dirigenti e del 10% dei dipendenti pubblici (si calcola che, estendendo le norma agli enti locali si potrebbe arrivare a 200mila lavoratori) sarà adottato seguendo criteri selettivi che limitino al minimo i disagi. I sindacati non sembrano crederci. Anche perché, come spiega a ilSussidiario.net Paolo Pirani, segretario confederale della Uil con delega alla Funzione pubblica, il governo ha deciso di spazzare via qualsivoglia margine d’intesa. Così come il suo collega della Cgil, Michele Gentile, ha raccontato, ieri, su queste pagine, Pirani conferma che l’incontro di martedì con il governo si è rivelato del tutto deludente. A oggi, infatti, nessuno si è degnato di spiegare alla parti sociali – ma neanche ai rappresentanti degli enti locali – in cosa consisteranno, nel dettaglio, i tagli ai dipendenti del pubblico impiego. «C’è stata una comunicazione formale, ma niente di più – spiega -. A una nostra richiesta di maggiori spiegazioni, Mario Monti ha detto che le risposte che chiedevamo non erano in agenda». E’ stato comunicato, in ogni caso, quanto basta per riconoscere che le circostanze sono allarmanti. «Aspettiamo di leggere il decreto. Dalle informazioni di cui disponiamo, a oggi, è evidente che la manovra è ben lungi dal rappresentare un’effettiva revisione razionale e sistematica delle spesa pubblica, ma si limita a riproporre la solita logica dei tagli lineari, ai quali non possiamo che essere contrari. In sostanza, si taglia sui dipendenti e si riducono le prestazioni delle pubbliche amministrazioni». Stando così le cose, non resta alternativa. «Da un tale atteggiamento ne consegue l’inevitabilità di una nostra risposta puntuale e più ampia. Se non ci sarà una svolta sostanziale della politica del governo, non potremmo fare altro che prendere in considerazione lo sciopero». Del resto, così strutturata, la spending review, rischia di fare danni ben al di là dei settori che colpirà direttamente. «Come ha anche fatto presente Confindustria, questa manovra, come tutte le altre misure sin qui adottate dal governo, trascinerà ulteriormente dentro il baratro della recessione». In particolare, «l’operazione che si sta mettendo in atto è recessiva perché, riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori coinvolti nella falcidia, si determinerà l’ennesima contrazione del mercato. Tutto perché, non avendo idea di quali sprechi eliminare, si è preferito andare sul sicuro. Sul pubblico impiego». Ancora una volta, le esigenze reali sono le medesime dei precedenti provvedimenti: «Come nel caso della riforma delle pensioni, l’esecutivo si sta muovendo unicamente per fare cassa. D’altronde, è la caratteristica che sta connotando ogni sua azione. Che, più che quella di un governo, sembra quella di una tesoreria».
Eppure, si sarebbe potuto procedere diversamente. «Il 3 maggio avevamo siglato un accordo col governo – che è stato totalmente disatteso – che prevedeva un percorso finalizzato a verificare le condizioni di ogni singola amministrazione, attivando un processo di valorizzazione del merito e di tagli agli sprechi». Non solo: «Abbiamo 7mila società del servizio pubblico di cui 1200 sono dei trasporti locali. Ne basterebbero molto meno, ma si vogliono mantenere in piedi per distribuire prebende politiche mentre, ogni anno, paghiamo 1 miliardo e 200mila euro in consulenze». A questo punto non resta che attendere gli immediati sviluppi. «Dubitiamo, tuttavia, che considerata la condotta tranchant sin qui adottata, il governo prenderà in considerazione una fase seria di confronto».
(Paolo Nessi)