Caro direttore, su IlSussidiario.net dello scorso 5 marzo, Francesco Giubileo, nell’articolo “”, fa una serie di considerazioni su possibili effetti e obiettivi della riforma del lavoro, estendendo l’esame anche al settore pubblico. Osserva l’autore che “Infine, la grande riforma è quella della Pubblica amministrazione, e qui bisogna essere chiari: in questi anni la razionalizzazione delle risorse è consistita nel bloccare gli stipendi (mandando a quel paese qualsiasi principio di merito), fermare le assunzioni (così abbiamo lavoratori sempre più anziani, che parlano male inglese e spesso non sono forti neppure in informatica), non confermare i precari (spesso le migliori risorse della Pa). Questa è la razionalizzazione all’italiana e, mi si consenta il termine, da “para-culi”. E qui nasce anche l’incomprensione con l’Europa, che quando parla di razionalizzazione vorrebbe vedere un bel pacchetto di licenziamenti, mentre l’Italia offre le tre proposte di prima, che riducono (di poco) la spesa pubblica, ma è inevitabile che rischiano di produrre la peggiore Pubblica amministrazione al mondo, data l’impossibilità di ricambio generazionale”.
Sul fatto che la “grande riforma” sia quella della Pubblica amministrazione molti concordano. Sarebbe da ricordare che dal 1993, data dell’approvazione del d.lgs 29/1993, di “riforme epocali” della Pubblica amministrazione ne sono state realizzate centinaia. Bisognerebbe, dunque, andare cauti nell’auspicare continue “riforme epocali”, perché l’esito è qualche riforma della durata di pochi mesi. E se, allora, la Pubblica amministrazione ha bisogno ancora di riforme e messe a punto, è evidente come ciò dipenda, anche, dalle troppe e di poca qualità riforme prodotte in forma torrenziale. Sarebbe opportuna una riforma ampia, ma meditata, capace di individuare davvero ciò che serve alla Pubblica amministrazione. Qui, alcune delle considerazioni del Giubileo si espongono a critiche profonde.
È vero che la razionalizzazione si è limitata al contenimento di risorse e delle assunzioni. Non è vero che ciò abbia ridotto “di poco” la spesa pubblica. Giubileo dimentica che la spesa per il personale pubblico dal 2008, anno di inizio crisi, è passato dai 167.844.832.388 miliardi di euro ai 158.207.141.743 miliardi di euro del 2013 (Fonte: Conto annuale del personale). Un risparmio di 9 miliardi, che nel 2014 si è ancora ampliato. Quella del personale è, insieme con quella delle province, l’unica voce di spesa che si riduce nell’ambito della spesa pubblica italiana. Che, se aumenta, è per altre cause e voci: in particolare, sanità, spese intermedie, servizi sociali, spese incontrollate dello Stato.
Certo, c’è una popolazione di dipendenti pubblici molto anziana. È stata il costo delle manovre indicate. Ma non è assolutamente dimostrato nei fatti che i precari siano “le migliori risorse della Pa”. Nel precariato, al contrario, si annidano i clientelismi più beceri, irregolarità nelle assunzioni e negli inquadramenti. Né risulta che i precari dispongano di qualificata conoscenza informatica e linguistica. Mentre, trattandosi di precariato “storico”, anche l’età media è tutt’altro che da considerare giovane.
I problemi della Pa è opportuno non si affrontino per slogan. Anche l’idea che l’Europa nel chiedere la “razionalizzazione” vuol dire che auspichi licenziamenti è del tutto arbitraria. Razionalizzare vuol dire utilizzare meglio le risorse. L’esempio è il confronto impietoso tra Germania, che impiega oltre 100.000 dipendenti pubblici nei servizi per il lavoro, e l’Italia, che ne impiega a stento 7.500. In Italia non v’è affatto eccesso di impiegati pubblici. Su fonte Eurispes e Ragioneria Generale dello Stato, si rileva che la spesa per il pubblico impiego in Italia ha un’incidenza sul Pil pari all’11,1% (contro il 19% della Danimarca, il 14,4% della Svezia, il 13,4% della Francia, l’11,5% della Gran Bretagna). Nel 2014, l’istituto di statistica della Gran Bretagna ha censito 5,4 milioni di dipendenti. Secondo uno studio di Forum Pa, i dipendenti pubblici francesi sono 5,5 milioni. Il numero dei dipendenti in Germania si aggira intorno ai 4,1 milioni, 3 circa in Spagna.
Non è con la corsa ai licenziamenti che si risolve il problema dell’efficienza della Pubblica amministrazione. Formazione e nuovi strumenti e sblocco delle assunzioni, oltre che seri e veri strumenti di valutazione di efficienza.
Un ragionamento finale va verso il discorso presunto liberista della riduzione del personale pubblico, conseguente alla rinuncia alla gestione diretta di alcune funzioni, che crea solo l’illusione di risparmi. Lo dimostra la gestione della sanità accreditata: formalmente sono soggetti privati a gestire, ma il servizio resta pubblico, anche perché totalmente finanziato dal pubblico. E fatti come quelli della neonata a Catania dimostrano che l’efficienza non è marchio di proprietà esclusiva, né del privato, né del pubblico: ma solo di chi voglia e sappia gestire bene.