I sindacati dei pensionati sono pronti a tornare in piazza, anche per chiedere una riforma della Leffe Fornero. Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp hanno proclamato per il 19 maggio una mobilitazione a Roma. Oltre alla flessibilità pensionistica, le tre sigle chiedono di non toccare le pensioni di reversibilità, di avere uguali detrazioni fiscali tra pensionati e lavoratori dipendenti, ripristinare il sistema di rivalutazione precedente la Legge Fornero e di recuperare quanto non rimborsato dal Governo, la separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale e maggiori risorse per l’invecchiamento della popolazione e una legge quadro per la non autosufficienza.
Gli esodati si apprestano a manifestare il 22 aprile a Roma, davanti alla sede del Mef per chiedere che venga approvata l’ottava salvaguardia per i 24.000 esodati ancora sprovvisti di una tutela, utilizzando le risorse che sono state prelevate dal Fondo esodati istituito nel 2012, subito dopo la riforma delle pensioni targata Fornero che è stata all’origine del problema di chi è rimasto senza lavoro e senza pensione. La Rete dei comitati invita tutti gli esodati a partecipare alla mobilitazione, cui prenderanno parte anche i sindacati i comitati dei lavoratori precoci. Se il Segretario di Lista Civica, nonché viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, aveva bocciato l’ipotesi degli 80 euro alle pensioni minime (parlando di populismo governativo), il deputato dello stesso partito, Gianfranco Librandi, si schiera invece a favore della misura annunciata da Renzi, spiegando che “non è una mancia elettorale come qualcuno vuole fare credere, bensì un importante sostegno a chi finora è stato per troppo tempo dimenticato”. Secondo Librandi, infatti, per chi ha poche risorse 80 euro in più possono fare la differenza. Il deputato ha comunque ricordato che bisognerà fare in modo che la misura non crei squilibri di bilancio. Dunque andrebbe finanziata con una riforma delle baby pensioni o delle pensioni d’oro.
Giuliano Poletti torna a parlare dell’ipotesi di un bonus da 80 euro per le pensioni minime, spiegando di essere favorevole al fatto che gli assegni più bassi abbiano risorse in più e che in fondo l’idea di questo intervento esiste da quando nel 2014 si è agito con il bonus in busta paga per i lavoratori dipendenti. “Naturalmente questo è un tema che va affrontato all’interno della legge di stabilità perché abbiamo una ovvia esigenza di compatibilità rispetto all’utilizzo delle risorse”, ha aggiunto il ministro del Lavoro. Tra l’altro sempre con la Legge di stabilità si dovrebbe anche affrontare il tema della riforma delle pensioni all’insegna della flessibilità.
L’ipotesi di un bonus da 80 euro per le pensioni minime non sembra fare breccia in buona parte del mondo politico. Anna Maria Bernini ricorda che “tutti gli zuccherini pre-elettorali, rigorosamente in deficit, di questo governo hanno già puntualmente prodotto nel Paese il loro amaro retrogusto”. Il riferimento della senatrice di Forza Italia è al Jobs Act, che ha esaurito la sua spinta propulsiva sull’occupazione nel momento in cui sono diminuiti gli incentivi alle assunzioni e al bonus in busta paga per i lavoratori dipendenti, che avrebbe dovuto spingere la domanda interna. “Se veramente si vogliono sostenere i tanti pensionati che arrancano sulla soglia della povertà, non servono né bonus né mancette, ma aumenti previdenziali certi, da realizzare attraverso una seria e radicale spending review”, ha aggiunto la Bernini.
In questi giorni si sta parlando tantissimo di riforma pensioni non solo grazie alla maxi manifestazione di protesta messa in atto dalla CGIL, dalla UIL e dalla CISL nello scorso sabato per chiedere al Governo maggiore flessibilità in uscita dal mondo del lavoro ma anche e soprattutto per la clamorosa apertura del Premier Matteo Renzi verso un possibile aumento di 80 euro al mese per le pensioni minime. Un’apertura che ha accesso il dibattito politico. Tuttavia a far notizia è quanto emerso del report dell’Istat nel quale è stato evidenziato come per la prima volta negli ultimi dieci anni, la speranza di vita in Italia fa segnare un arretramento scendendo ad 80,1 negli uomini ed 84,7 per le donne. Dati preoccupanti in ottica sistema previdenziale anche perché aumenta la popolazione degli anziani (ce ne sono 157,7 per 100 giovani).