In un Paese civile, quando un politico perde, se ne va. È accaduto in Gran Bretagna, dove due ore dopo la vittoria del Brexit, David Cameron ha annunciato pubblicamente le sue dimissioni. Matteo Renzi ha detto che se perderà il referendum sulla riforma costituzionale di ottobre abbandonerà la politica: vedremo se, come Cameron, sarà di parola. Ma ancora più grave è quando un politico o un uomo delle istituzioni mente al suo popolo. Certo, esiste la regola di Alan Greenspan, il quale diceva che quando le cose cominciano ad andare davvero male un banchiere centrale ha il dovere di mentire, ma non è questo il caso.
Il 13 dicembre scorso, qualcuno pronunciò queste parole: «Il sistema bancario italiano è sano e solido. Durante la grande recessione gli istituti italiani non hanno avuto bisogno di aiuti pubblici tranne che per un istituto, laddove invece la Germania ha messo in campo 240 miliardi. Da noi no». Chi è stato? Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia e delle Finanze, rispondendo a una domanda sul salvataggio delle quattro banche popolari durante l’ultima Leopolda. Parliamo di sei mesi fa, non sei anni. Perché allora è stato necessario il Fondo Atlante e ora un piano di intervento statale, più o meno diretto, visto che occorre non violare le regole Ue sugli aiuti di Stato, da 40 miliardi per stabilizzare il sistema?
Ovviamente i grandi media hanno la risposta pronta: colpa del Brexit.. E in effetti l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione è stato un enorme detonatore: ma è l’esplosivo a fare danni, non il detonatore in sé. Il grafico a fondo pagina ci mostra come venerdì e lunedì scorsi le banche europee abbiano patito le perdite a due giorni peggiori di sempre, anche del dopo Lehman. Oggi, invece, rose e fiori, Milano sfonda il +4% trainata proprio dal comparto bancario: parliamo delle stesse banche scaricate con il badile per due giorni, non hanno compiuto aumenti di capitale overnight tali da rendere credibile passare da -20% a +9% nell’arco di 24 ore. Ovvio, è speculazione in molti casi e sarebbe bello che, almeno per una volta, Consob e Bankitalia non dormissero e vigilassero a dovere, ma resta il dato fondamentale: se Milano è rimbalzata in quel modo, è perché il governo ha detto la parolina magica. Aiuto. E 40 miliardi sono tanti ma non tantissimi, visto che solo Unicredit e Bpm hanno bisogno di un aumenti di capitale da 5 miliardi ciascuna.
Capite che, nelle condizioni reali del sistema bancario, il Fondo Atlante con i suoi 2 miliardi residui a disposizione era diventato un’aspirina per curare un malato terminale. Serviva la cura shock: l’Italia punta a forme di garanzia pubblica sui bond bancari, mentre preme su Francia e Germania perché vi sia una risposta europea alla crisi innescata dalla Brexit, stando a una fonte governativa. Il governo sta lavorando a un ventaglio di strumenti in grado di scongiurare il rischio sistemico: si va dall’allentamento delle regole sul bail-in utilizzando tutti i margini previsti dalle deroghe per circostanze eccezionali, all’ipotesi di un intervento diretto dello Stato nel capitale degli istituti in difficoltà, nel rispetto delle regole sugli aiuti pubblici. Stando a quanto risulta a Mf-Milano Finanza, il Brexit potrebbe essere utilizzata dalle autorità italiane per chiedere più spazi di manovra agli aiuti pubblici.
Cosa vi avevo detto prima che i britannici andassero alle urne? Se sarà crisi da Brexit, questa si tramuterà in due cose: occasione per chi è troppo esposto per scaricare securities di tutti i tipi e alibi per i governi alle prese con problemi bancari per sfruttare l’emergenza al fine di tamponare le falle più evidenti. Detto fatto, ecco sostanziarsi il rally di ieri: comprano i gonzi, ovvero chi acquista tentato dal consulente o dal bancario e mette a detenzione e i furbi, la smart money, quella che compra a prezzi stracciati e attenderà il momento in cui qualcosa di quei 40 miliardi arriverà davvero alle prime banche per vendere al range di prezzo più alto sul medio termine e scaricare ad altri il rischio sistemico. Ormai è uno schema consolidato: prima le Banche centrali e ora i governi forniscono il back-stop sia ai titoli di Stato che a quelli bancari, mercato al rialzo per legge. Peccato che poi, ogni tanto, salta fuori il Brexit di turno e tutto il giochino salta. Ma quando succede, ecco il colpo di genio: un fondo Atlante bis che faccia da garante dei prossimi aumenti di capitale delle banche più fragili, qualora dovessero esserci (Mps su tutte, ma vengono menzionate anche Unicredit e Carige). E, statene certi, ce ne saranno.
L’operazione dovrebbe essere discussa con la Commissione europea per non cadere nella fattispecie degli aiuti di Stato, anche se è previsto che in circostanze eccezionali (come ad esempio la Brexit) il divieto possa venir meno. All’operazione potrebbe partecipare anche la Cassa depositi e prestiti, come già avvenuto per Atlante 1. La creazione di un fondo parallelo permetterebbe di ridare fiducia al settore e di completare il rafforzamento patrimoniale delle banche più deboli: Atlante 1 ha infatti investito il 59% della propria dotazione (2,5 miliardi su una dotazione di 4,3 miliardi) nelle due banche venete e gli analisti stimano che i restanti 1,9 miliardi potrebbero smuovere sofferenze creditizie per un valore nominale di 30 miliardi di euro. Per aumentare la potenza di fuoco si potrebbe riaprire il fondo con i contributi di casse di previdenza e fondi pensione oppure creare un secondo fondo più focalizzato sull’acquisto di non performing loans.
E volete che la Bce sia da meno? Parlando in occasione del forum The future of the international monetary and financial architecture, conferenza annuale con politici ed economisti organizzata dalla Bce a Sintra, in Portogallo, Mario Draghi ha auspicato «politiche monetarie allineate con l’obiettivo di mitigare contagi destabilizzanti tra le diverse economie», sottolineando come «la persistenza di politiche divergenti possa portare a incertezze sulle intenzioni future, che a loro volta si traducono in una maggiore volatilità sui tassi di cambio e sui premi di rischio che deve essere contrastata con politiche monetarie più espansive». Tali instabilità potrebbero essere evitate lavorando sui fattori su cui gli Istituti centrali di tutto il mondo si trovano a lavorare per tenere sotto controllo il caro vita, elementi la cui natura comune è suggerita dalla bassa inflazione che persiste su scala globale. Con allineamento, ha spiegato ancora Draghi, non è inteso un coordinamento generale, ma una «condivisione delle diagnosi e delle dinamiche alla base delle sfide che riguardano tutti e un impegno condiviso a basare le nostre politiche a livello di singola area economica su queste diagnosi».
Signori, siamo al superamento della Bri come Banca centrale delle Banche centrali, siamo alla spectre globale del monetarismo. Il tutto, va ripetuto, sulla scorta del fatto che 46 milioni di britannici sono andati alle urne e abbiamo democraticamente deciso di voler uscire dall’Ue, come previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona. La puzza di alibi del secolo si sente anche indossando la maschera anti-gas. D’altronde, ha proseguito il numero uno dell’Eurotower, è risaputo come «le svalutazioni competitive siano un gioco a perdere per l’economia globale in quanto non fanno altro che provocare una maggiore volatilità sui mercati, con le altre Banche centrali che sono costrette a difendere i loro mandati nazionali». Alla fine, «l’interesse comune di tutti è chiudere il più velocemente possibile il divario produttivo globale, avere un’inflazione più stabile, una crescita globale più alta nel lungo termine e una maggiore stabilità finanziaria».
Cosa significa questo? Si sta preparando il terreno al Qe perenne coordinato tra le varie Banche centrali per evitare gli effetti di dumping svalutativo sulle varie monete e questo per un’unica ragione e con un unico scopo: tutto il mondo sta annegando nel debito e nel leverage grazie proprio all’operato delle Banche centrali, quindi occorre normalizzare le distorsioni maggiori per arrivare all’epilogo, l’helicopter money, ovvero il trionfo del keynesianesimo faustiano. E non pensiate che sia una mia azzardata previsione, perché il 17 giugno scorso, prima del voto sul Brexit e dei crolli azionari, il Financial Times dava conto di una lettera aperta di 18 europarlamentari socialdemocratici, di sinistra e dei Verdi proprio a Mario Draghi, nella quale si raccomandava alla Bce di tenere conto dell’ipotesi dihelicopter money e di acquisto di bond dalla European Investment Bank «come possibili soluzioni per spingere lo sviluppo economico attraverso spesa diretta nell’economia reale». Il capogruppo dei Verdi all’Europarlamento, Philippe Lamberts, ha dichiarato che «scegliere l’ipotesi di helicopter money avrebbe più senso che continuare con le politiche di acquisto legato al Quantitative easing».
Insomma, uno tsunami di liquidità a costo zero, un diluvio di nuovo debito per risanare il sistema finanziario europeo e tentare di risollevare l’economia reale, l’inflazione e l’occupazione. La Fed ci prova dal 2009, il risultato sono stati due anni di crescita e il ritorno ormai imminente in recessione, distruggendo nel contempo il concetto stesso di classe media negli Usa: ha guadagnato solo Wall Street. Vogliamo arrivare all’estremo? Prego, tanto ormai non c’è più da stupirsi di nulla. Ma, per favore, caro ministro Padoan o chi per lei, la smetta di dire che il sistema bancario italiano è sano e robusto. Non è affatto così. E si goda l’assist straordinario che il referendum britannico ha fornito a lei e a tutti i suoi colleghi europei per calciare ancora per un po’ in avanti il barattolo.