È di questi giorni la lettera aperta del Presidente di Confindustria Cuneo, Mauro Gola, indirizzata alle famiglie dei giovani che si accingono a scegliere la scuola superiore, balzata agli onori della cronaca nazionale. Il messaggio, chiaro e diretto, in estremo sunto recita così: cari genitori, scegliete assieme ai vostri figli la scuola con libertà, ma sappiate che il mondo del lavoro cerca profili tecnici e professionali e che professioni che fino a qualche tempo fa erano poco considerate stanno assumendo importanza strategica per le aziende.
Il tema non è nuovo: dai dati di Confindustria di fine 2017 emerge un quadro di emergenza per l’industria italiana, che ricerca affannosamente decine di migliaia di tecnici a vario livello, ma che non trova giovani con competenze adeguate. Se da un lato più volte si è accusato il sistema formativo nazionale di non essere adeguato al suo compito e di non preparare i giovani al mondo del lavoro, dall’altro si riscontra un continuo calo di giovani che dopo le scuole medie intraprendono studi di tipo tecnico o professionale, perdendo così l’opportunità di prepararsi per quelle professioni che più sono richieste dal mercato e lasciando sguarnite posizioni di buon livello.
Cosa guida i ragazzi, e soprattutto le loro famiglie, verso scelte che all’apparenza sembrano irrazionali? Perché si preferisce puntare verso percorsi di studio di tipo generalista (i licei) sperando poi di riuscire a completare la carriera scolastica con una laurea che, anche se faticosamente raggiunta, spesso non garantisce una soddisfacente professione?
È chiaro che dietro a tutto questo c’è una grossa componente culturale. I genitori in grande maggioranza pensano che ci sia una sorta di graduatoria qualitativa che pone al primo posto gli studi di tipo umanistico o scientifico-speculativo rispetto a quelli legati alla tecnica applicata e se proprio devono considerare per il proprio figlio professioni tecniche le concepiscono legate a una laurea in ingegneria piuttosto che a un diploma di tecnico specializzato. Tale concetto si ripercuote poi sulla considerazione generale che vede i licei come scuole per i più bravi, gli istituti tecnici per i medi e la formazione professionale per coloro “che non hanno voglia di studiare”. Anche se, dopo anni di campagne promosse dal mondo imprenditoriale, qualcosa si sta muovendo verso una maggior considerazione della cultura tecnico professionale, ancora si nota nei consigli orientativi, rilasciati dalle scuole medie agli allievi in uscita, la tendenza alla citata graduatoria.
C’è poi la convinzione che “dare un’istruzione” ai propri figli, compito sacrosanto delle famiglie, significhi principalmente promuovere un loro posizionamento, possibilmente elevato, nella scala sociale e garantire loro una vita agiata basata su retribuzioni cospicue. I quasi tre milioni di Neet in Italia e la disoccupazione giovanile attorno al 35% dovrebbero, al contrario, far pensare e provocare una vera e propria rivoluzione culturale nelle famiglie italiane.
Non è semplice ragionare in termini innovativi su questi temi, ma per iniziare si potrebbe partire da alcuni assunti ormai chiaramente definiti. Il primo è certamente legato al compito della scuola di formare l’individuo assieme alla famiglia e al contesto sociale cercando, al contempo, di aumentare il livello culturale generale della collettività. Tale compito però non si chiude con il termine del ciclo di studi, ma deve proseguire in forme diverse durante tutta la vita. È chiaro quindi che nel contesto ampio qualsiasi percorso di studi assume una propria valenza e dignità di pari rango. Con lo sviluppo tecnologico si sono via via definite competenze sempre più complesse che possono essere acquisite dal singolo anche in modi diversi (studi, esperienza, aggiornamento) e che costituiscono un vero e proprio patrimonio per l’azienda legato ai lavoratori che le possiedono.
Le professioni tecniche sono, al momento, quelle che danno la maggior certezza dal punto di vista occupazionale e che, stante la grande richiesta, garantiscono livelli retributivi più elevati anche rispetto a professioni tradizionalmente ritenute ben remunerate. I giovani e le loro famiglie devono quindi convincersi che la possibilità di un futuro di soddisfazione è legata alla capacità di continuare ad apprendere e ad aggiornarsi, scegliendo settori e professioni dove esiste una reale richiesta di competenze avanzate piuttosto che puntare su corsi di studio senza sbocchi lavorativi definiti.
Sarà un processo non immediato, ma di fronte al drammatico mismatch tra giovani senza lavoro e mancanza di tecnici preparati per le nuove tecnologie, i tempi per il cambiamento dovranno essere forzatamente accelerati.