Non sono una sorpresa i dati pubblicati in questi giorni nell’annuale Rapporto Excelsior, elaborato da Unioncamere e Anpal, riguardante i fabbisogni di professionalità previsti nel sistema produttivo nazionale nel prossimo quinquennio. Sono dati che certificano, in estremo sunto, la necessità da parte del sistema produttivo, di poter contare su personale dotato di competenze tecniche avanzate a tutti i livelli e confermano quanto già da qualche tempo diffuso dai centri studi delle principali associazioni datoriali.
Un’analisi più approfondita permette di considerare che dei circa 2,5 milioni di assunzioni programmate di qui al 2022 dalle aziende il 78% andrà a sostituire personale pensionato e che quindi la nuova occupazione riguarderà solamente il 22% pari a 550.000 lavoratori. Più interessante è però il dato che riguarda le assunzioni delle imprese suddivise per titolo di studi, che indicano per circa il 31 % (778.100) i laureati – principalmente nei settori sanitario, economico e ingegneristico – per circa il 32% (809.600) i profili con diploma secondario e post secondario e circa il 37% i più bassi livelli di qualifica, mentre se si considerano i livelli di assunzione, le cosiddette High Skills (Dirigenti, specialisti, tecnici superiori) assorbono il 36%, le medium skills (impiegati, commerciali) il 35% e le low skills (operai specializzati, conduttori di impianti, non qualificati) circa il 29%.
Ci troviamo di fronte a un sistema che sempre di più vede la necessità di formare professionalità di livello medio-alto (oltre il 70%) con una netta diminuzione di personale non qualificato o con qualifiche di basso livello. L’introduzione di nuove tecnologie legate a Industry 4.0 porterà nel futuro prossimo a una sempre maggiore richiesta di competenze che rischia di rimanere inevasa, mentre risulta problematico a livello sociale il collocamento di larghe fasce di popolazione non dotata della formazione richiesta.
Non a caso nel “piano nazionale impresa 4.0” elaborato dal Mise, accanto a stanziamenti e facilitazioni per le aziende che investono in nuove tecnologie, sono previsti investimenti in ricerca, ma soprattutto in formazione tecnologica avanzata con il coinvolgimento di atenei e Its (sistema terziario professionalizzante).
Partendo dai dati quindi si dovranno porre in atto strategie di sistema che consentano di indirizzare le scelte dei giovani verso professioni e livelli formativi adeguati alla richiesta. Lo studio Excelsior diventa un formidabile strumento di programmazione e una base importante per l’orientamento e il dimensionamento dell’offerta formativa.
In realtà poi esistono altre criticità che, se non sanate tempestivamente potranno dar luogo a problematiche importanti. La prima riguarda la necessità di aggiornamento del sistema formativo e la sua integrazione con il sistema produttivo. Le competenze che la scuola superiore e l’università riescono a formare nei giovani sono in linea con quanto l’industria richiede? La seconda riguarda l’orientamento e il dimensionamento dell’offerta formativa. L’attuale sistema è in grado, partendo da previsioni realistiche e dati oggettivi di programmare la formazione e indirizzare i giovani verso professioni richieste dal mondo industriale? La risposta a entrambi i quesiti può essere articolata, ma certo non positiva.
Resistenze culturali e interessi particolari inducono spesso a non innovare e a compiere scelte poco opportune a ogni livello. Raccordare istruzione e lavoro serve a innovare i sistemi formativi; portare la formazione in azienda diventa una necessità per aggiornare le competenze del personale occupato e porsi al riparo dal “rischio automazione”. I dati dello studio Excelsior, spesso sconosciuti o poco considerati negli ambienti formativi o di programmazione territoriale, quando non addirittura respinti come “non realistici”, dovranno, al contrario, costituire elemento fondamentale nelle scelte delle famiglie, ma anche essere presi come elemento fondamentale per le scelte politiche di sistema.