PENSIONI D’ORO, SCONTRO M5S – PD
Il MoVimento 5 Stelle torna alla carica sulla questione delle pensioni. «Abbiamo combattuto la casta quando eravamo all’opposizione, continuiamo a farlo anche ora che governiamo il Paese. Via pensioni d’oro, sprechi e privilegi, è stato questo il nostro mantra e non intendiamo arretrare». Lo affermano i capigruppo di Camera e Senato del M5s, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, in una nota congiunta. Il comunicato rappresenta una risposta agli attacchi di Partito democratico e Forza Italia. «Dicono che il risparmio dal taglio alle pensioni d’oro sia irrisorio: 100 milioni di euro. Non è così, ma se anche fosse andate a dirlo agli italiani rimasti senza lavoro che 100 milioni sono una cifra irrisoria. Spiegatelo a chi non arriva a fine mese che state difendendo coni denti un diritto immeritato. Fortunatamente dalla parte degli italiani ci siamo noi». (agg. di Silvana Palazzo)
TAGLIO PENSIONI D’ORO: QUANTO SI RISPARMIA?
Quanto vale l’intervento di “solidarietà” promosso da Luigi Di Maio per tagliare lo “squilibrio contributivo” per finanziare le pensioni basse? Innanzitutto dovrebbe trattarsi di una misura temporanea per non incappare nelle maglie della “costituzionalità”. Ma procediamo con i calcoli per capire quanto risparmierebbe in realtà il governo. La platea di beneficiari di redditi da pensione sopra i 5mila euro netti al mese è di circa 30mila persone. Tra questi ci sono redditi da pensioni non “pure”, nel senso che potrebbero esserci pensionati con assegno di anzianità da 3mila euro netti al mese che cumulano con una reversibilità di 2.500 netti, e in questo caso non verrebbero toccati dal taglio visto che nessuno dei due supera il tetto dei 5mila. Il totale di questi redditi da pensione vale circa 4 miliardi, quindi l’1,5% della spesa previdenziale. Come spiega il Sole 24 Ore, la riduzione proposta da Di Maio garantirebbe un risparmio di circa 210 milioni lordi, con cui si può alimentare un primo fondo per finanziare gli aumenti delle pensioni basse. Ma dove si vuole arrivare? Il Pd aveva ipotizzato una spesa superiore al miliardo per aumentare le minime a 750 euro mentre Forza Italia parlava di un intervento di poco più di 4 miliardi per garantire mille euro al mese a 850mila pensionati. La spesa che si innesca con le nuove pensioni minime è dal miliardo a salire, mentre tagliando le pensioni d’oro fino all’equilibrio contributivo non si andrebbe oltre i 200 milioni. (agg. di Silvana Palazzo)
PD: “DI MAIO MENTE SULLE PENSIONI”
Le parole di Luigi Di Maio, che ha annunciato il taglio delle pensioni d’oro e l’aumento delle minime sta già animando il dibattito politico. A rispondere al leader M5s, è sopratutto il Partito Democratico, che con il senatore Ernesto Magorno è categorico:”Di Maio mente sulle pensioni”. A corroborare questa teoria è anche la senatrice dem Simona Malpezzi, come riporta La Repubblica, secondo cui “non esiste il miliardo delle pensioni d’oro. Sono promesse elettorali finanziate con assegni a vuoto”. Una risposta dunque nel merito rispetto alle affermazioni di Di Maio, che in mattinata su Facebook aveva detto che “grazie al miliardo che risparmieremo (sulle pensioni d’oro, ndr) potremo aumentare le pensioni minime”. Insomma, come sempre il dibattito sulle misure economiche di questo governo verte sull’esistenza delle coperture: solo il tempo dirà chi ha ragione…(agg. di Dario D’Angelo)
DI MAIO: “TAGLIAMO PENSIONI D’ORO, AUMENTIAMO LE MINIME”
Novità importanti rispetto alla riforma pensioni che tanto interessa agli italiani e ai sindacati che continuano a chiedere risposte al governo Conte. Questa mattina è stato Luigi Di Maio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, a promettere un intervento sulle pensioni d’oro e sulle minime. Ecco le sue parole, riportate da Il Corriere della Sera:”E’ iniziata l’estate, e tanti italiani cominciano a farsi i conti in tasca per vedere se è rimasto qualcosa per una decina di giorni di ferie con la famiglia. Alcuni non le faranno proprio. Altri invece faranno vacanze da nababbi sullo yacht perché hanno una pensione d’oro di migliaia e migliaia di euro – in alcuni casi anche oltre 20.000 euro netti – che da anni gli paga tutta la collettività a causa delle distorsioni del vecchio metodo retributivo, che gli permette di avere molti più soldi rispetto a quelli che hanno versato. Uno sfregio a quei tre milioni di italiani che non hanno neppure i soldi per fare la spesa, perché sono stati abbandonati dalle istituzioni. Quest’estate non ci sono i mondiali, ma presto avremo qualcosa da festeggiare: la fine delle pensioni d’oro e l’inizio di un’Italia più giusta”.
Secondo Di Maio “chi si merita pensioni alte per avere versato i giusti contributi ne ha tutto il diritto, ma quest’estate per i nababbi a spese dello Stato sarà diversa. Vogliamo finalmente abolire le pensioni d’oro che per legge avranno un tetto di 4.000-5.000 euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto a un importo così alto. E cambiano le cose in meglio anche per chi prende la pensione minima, perché grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime”. Svolta sulle pensioni in arrivo? Staremo a vedere…(agg. di Dario D’Angelo)
UIL: “BISOGNA INTERVENIRE SUBITO SUI COEFFICIENTI”
Prima di pensare a Quota 100 e 41, i sindacati vogliono che il governo intervenga sui coefficienti per il calcolo della pensione, perché chi lavora di più ha diritto ad una pensione più alta, non il contrario. Basta rimandare di un solo mese il pensionamento, da dicembre 2018 a gennaio 2019, per vedersi ridurre la pensione di un importo tutt’altro che trascurabile. Lo sostiene la Uil che ha analizzato i coefficienti di trasformazione previsti per le pensioni contributive, approvati dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il 15 maggio scorso. La Uil, come riportato da Studio Cataldi, chiede dunque una revisione urgente dei meccanismi di calcolo delle pensioni. I criteri d’individuazione dei coefficienti sono legati all’aspettativa di vita del lavoratore, ma questo meccanismo penalizza chi andrà in pensione a gennaio 2019. E questo è un disincentivo al lavoro. La riforma, invece, dovrebbe legare i coefficienti a fasce d’età, affinché chi decide di lavorare più a lungo sia premiato, non il contrario. (agg. di Silvana Palazzo)
RIFORMA PENSIONI, QUOTA 100 IL NODO DELLA SVOLTA
È Quota 100 il perno del piano del governo Conte per superare la riforma delle pensioni di Elsa Fornero. L’esecutivo M5s-Lega starebbe valutando l’ipotesi di lanciare un’operazione in due tappe. Facendo leva sulla prossima legge di bilancio, consentirebbe subito dal 2019 il pensionamento con almeno 64 anni di età e 36 di contributi, prevedendo invece tempi più lunghi per il canale di uscita con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. A lasciar intendere che Quota 100 è prioritaria rispetto a Quota 41 è stato indirettamente lo stesso Matteo Salvini a Porta a porta. I candidati alle nuove pensioni di anzianità che dovrebbero partire dal prossimo mese di gennaio con la Quota 100 sono, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, i lavoratori dipendenti con carriere lunghe e continue, perlopiù residenti nelle regioni del Nord, o impiegati nelle pubbliche amministrazioni. Sono 300mila i pensionati potenziali che matureranno il requisito anagrafico dei 64 anni, ma non tutti avranno naturalmente gli altri due requisiti necessari per raggiungere la nuova anzianità, cioè 36 anni di contributi versati con non più di tre anni di contribuzione figurativa.
PREOCCUPAZIONI SU MANCATO RINNOVO DI APE SOCIALE
Questi numeri chiariscono il potenziale effetto di Quota 100, finestra cui seguirebbe solo in un secondo tempo il via libera con 41 anni di contributi a prescindere dall’età (Quota 41). In attesa di dettagli, resta la stima di una maggiore spesa per 5 miliardi l’anno, compensata con diverse contromisure: dallo stop all’Ape sociale all’ammortizzatore di ultima istanza attivo fino a fine anno per garantire un finanziamento-ponte fino alla pensione ai 63enni disoccupati con 30 anni di contributi (36 per determinate categorie). Questa ipotesi penalizza i più svantaggiati, come evidenziato dalla società di ricerca Tabula in un paper: «Il non rinnovo dell’Ape sociale impedirebbe a questi lavoratori di accedere al pensionamento a 63 anni, anche con contributi molto inferiori ai 41 anni, e dovrebbero attendere la pensione di vecchiaia a 67 anni». L’attenzione sulle pensioni resta massima, visti i livelli di spesa in gioco. Lo ha sottolineato anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: «Interventi mirati, volti a ridurre specifiche rigidità, sono possibili, alcuni sono già stati effettuati in passato, ma vanno sempre adeguatamente compensati in modo da assicurare l’equilibrio attuariale del sistema pensionistico».