Linea dura dei datori di lavoro contro l’uso di Facebook in ufficio. La Corte di Cassazione la sposa: lo dimostra il caso di una segretaria part time in uno studio medico. Durante l’orario di servizio, nell’arco di 18 mesi, aveva effettuato dal pc in ufficio circa seimila accessi in Internet, di cui 4.500 sul noto social network, «per durate talora significative». Non ha avuto nessun esito il ricorso della segretaria alla «violazione della privacy»: il licenziamento disciplinare della donna è stato confermato in via definitiva. Non è comunque la prima volta di un licenziamento a causa di Facebook negli ultimi anni. Ma sono di più le cause contro dipendenti che fanno uso improprio del social insultando capi e colleghi. in questo caso la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della lavoratrice, dichiarando legittimo il licenziamento, come già accaduto in primo grado e in appello. La Suprema Corte ha evidenziato la «gravità della condotta» della donna.
FACEBOOK MENTRE LAVORA, CASSAZIONE: GIUSTO LICENZIAMENTO
Questa condotta è «in contrasto con l’etica comune» e «l’idoneità certa» di questo comportamento «ad incrinare la fiducia datoriale». I giudici della Corte di Cassazione hanno condiviso la linea seguita nei processi di merito. Non c’è nessuna «violazione delle regole sulla tutela della privacy», come sostenuto dalla lavoratrice nel suo ricorso. La riconducibilità alla sua persona della consultazione di siti «estranei all’ambito lavorativo» è stata riscontrata grazie al fatto che «gli accessi alla pagina personale Facebook richiedono una password», e questo esclude «dubbi sul fatto che fosse la titolare dell’account ad averlo eseguito». Questa sentenza dimostra che non saper rinunciare a collegarsi a Facebook può costare il posto di lavoro. Per questa ragione, la sezione lavoro della Cassazione ha confermato il licenziamento del datore di lavoro che, per motivare la sua decisione, aveva allegato agli atti la cronologia del computer in uso alla segretaria.