L’attività politica, ormai dimentica della pausa agostana, è tornata velocemente al centro dell’attenzione, complice la prossima legge di bilancio, gli equilibri politici della maggioranza e anche la galassia delle opposizioni.
Quello che sembra sempre più chiaro è che la maggioranza dovrà inevitabilmente scontrarsi con la realtà di conti dello Stato che non permettono di dar seguito alla lista dei desideri dei partiti che sostengono il Governo. Se da un lato il Governo ha, finalmente, posto l’attenzione sul calo demografico, iniziando ad ipotizzare (e in qualche caso ad applicare) misure per favorire chi ha figli (con l’obiettivo di agevolare anche chi figli non ne ha ma vorrebbe metterli al mondo), dall’altro ci sono alcuni ostacoli che obbligano l’esecutivo a percorrere la via della prudenza.
Sembra scontato che alcune risorse saranno impiegate per cercare di combattere la denatalità, tenendo presente come questa sia collegata al problema dell’occupazione femminile (è bene ricordare che una più alta natalità non è causa di minor lavoro femminile, accade in Europa nei Paesi che hanno adottato politiche familiari): l’obiettivo del Governo, a detta del premier Giorgia Meloni, è quello di “lavorare per costruire una società nella quale ci sia un forte legame tra il lavoro femminile e la possibilità di mettere al mondo dei figli” (Intervista al Corriere della Sera, 8 settembre 2023).
Altre risorse dovranno essere applicate per confermare l’estensione del taglio del cuneo adottato dal Governo nella scorsa Manovra: in questo caso ne va della credibilità dell’esecutivo stesso, perché eliminare un taglio introdotto solo un anno prima, della durata di sei mesi, sarebbe una pessima figura.
Già questi due temi riducono molto la possibilità di agire su altro, e questo per diverse questioni. La prima riguarda il superbonus, costato molto più di quello inizialmente calcolato dal Governo Conte 2; certamente ha avuto delle ripercussioni positive nel mercato, almeno inizialmente, con una ripresa del lavoro, ma la realtà mostra come, per lo Stato, il costo del bonus facciate sia di 26 miliardi (contro i 5 inizialmente previsti) e quella del superbonus 110% di 93 miliardi (contro i 30 previsti, dati del Corriere della Sera, 3 settembre 2023): in pratica queste due politiche sono costate rispettivamente 5 e 3 volte tanto (dati di agosto), portando anche ad un aumento legato ai costi del materiale (di fatto drogando il mercato).
Legate al discorso dei bonus sono le decisioni in campo europeo circa il Patto di stabilità, sospeso per la pandemia Covid e che dal 2024, a meno di modifiche, tornerà in auge: esso prevede che il rapporto deficit/Pil non superi il 3%, e questo è fonte di problemi per il Governo, che spera di trovare un aiuto da parte di Eurostat, l’agenzia statistica europea che potrebbe computare le uscite del superbonus tutte il primo anno (quando cioè si forma il credito d’imposta) o anno per anno (quando si sconta): se dovesse vincere la prima ipotesi, il deficit andrebbe dal 4,5% previsto al 6%, lasciando però aperti più spazi per intervenire nelle leggi di bilancio degli anni successivi. Al contrario, se la computazione avvenisse anno per anno, le spese legate al 110% bloccherebbero, in parte, le scelte di politica economica nelle Manovre dei prossimi anni, a prescindere dal colore politico del Governo.
In questo quadro già complesso si aggiunge anche l’inflazione, che, come già ricordato, è in diminuzione, secondo i dati di agosto, a livello macroeconomico, rimanendo invece molto alta per quanto riguarda i prezzi di consumo: questo fa sì che il potere d’acquisto (aumentato dal taglio del cuneo) venga bruciato tutto o in parte. In altre parole, il carrello della spesa è sempre più vuoto e si spende sempre di più.
Anche a causa di questo quadro economico incerto e per niente favorevole, è difficile ipotizzare che si riesca a fare la riforma fiscale riducendo gli scaglioni Irpef, proprio a causa della mancanza di risorse.
Vista la situazione globale, che mostrano un rallentamento dell’economia (a parte l’India, che l’anno prossima si prevede farà ancora meglio di quest’anno), il prolungarsi della guerra in Ucraina, la sempre maggior competitività della Cina e le elezioni Usa (che si preannunciano particolarmente agitate) l’augurio è che questa Manovra sia fatta da pochi, piccoli e sicuri passi, su un terreno fin troppo accidentato, seguendo quella che sembra la parola d’ordine del ministro dell’Economia: prudenza.
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