Come possono dialogare oggigiorno le neuroscienze e le discipline umanistiche in senso lato? Quali guadagni reciproci potrebbero avere gli attori dialoganti? Quella dell’interdisciplinarietà è effettivamente una tendenza molto in voga, e la proliferazione di nuove interdiscipline “a prefisso neuro” (neuroestetica, neuroetica, neurofilosofia, neuroeconomia eccetera) sfida ad un ripensamento teorico gli studiosi delle tradizioni umanistiche.
Sono i temi al centro del saggio Religione e neuroscienze. Una sfida per l’antropologia culturale (Morcelliana), l’ultima opera di Aldo Natale Terrin, esperto di filosofia delle religioni e docente in svariate realtà accademiche italiane. E al testo di Terrin ha fatto riferimento l’incontro, con lo stesso titolo, svoltosi nei giorni scorsi presso il Centro Studi Teologici Germano Pattaro di Venezia; un evento inserito nel programma di approfondimenti proposti dalla Sezione “Scienza e Fede” dello Studium Cattolico Veneziano.
Nelle sale suggestive del Centro Pattaro tre studiosi eminenti hanno incrociato gli sguardi per un paio d’ore cercando di delineare il rapporto che le neuroscienze contemporanee possono intrecciare con le grandi questioni religiose e antropologiche che attraversano tutte le culture della Terra. Ne hanno parlato, con l’autore del volume, Francesca Meneghello, neurologa specializzata in neuroriabilitazione presso l’Ospedale San Camillo del Lido di Venezia e docente in bioetica presso lo Studium Generale Marcianum, insieme con Giuseppe Goisis, filosofo politologo di Cà Foscari.
La professoressa Meneghello ha “aperto le danze”, raccontando la storia della neuroscienza moderna che dalle prime indagini di fine Settecento giunge oggi alle strabilianti “neuroimmagini”, che ci mostrano “il cervello al lavoro”. Le tecniche di neuroimaging cerebrale ci permettono di indagare – senza danneggiare i neuroni – i correlati neurali di task (compiti o azioni) di interesse. Ecco dunque che la medicina si può avvalere di uno strumento prezioso in ambito di diagnosi-prognosi clinica. Ma la ricerca dei correlati neurali riguarda anche alcune caratteristiche di Homo sapiens quali lo sviluppo di un senso etico, la scelta morale, i momenti di riflessione mistico-spirituali.
L’estrema complessità delle tecniche di indagine, e l’inevitabile semplificazione sperimentale delle caratteristiche antropologiche studiate (si pensi solo a come sia problematico riuscire a definire esaurientemente uno “stato meditativo-spirituale”), non rendono però possibile formulare ermeneutiche riduzioniste troppo affrettate.
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Dello stesso avviso è stato il professor Goisis il quale, richiamandosi alla tradizione filosofica occidentale, ha ricordato che gli argomenti trattati dalle neuroscienze contemporanee come la libertà di decisione, il rapporto mente-cervello e il rapporto uomo-mondo, hanno interessato grandissimi filosofi come Bergson (Materia e memoria), Whitehead e Husserl, il grande capostipite della fenomenologia.
L’interdisciplinarietà può essere imbastita facendo dialogare i risultati della neuroscienza empirica con i guadagni di alcune scuole filosofiche continentali: si pensi solamente alla nascita di quella nuova interdisciplina che, sotto il nome di neurofenomenologia, prova a mettere in relazione il dato di laboratorio con le cornici esplicative sviluppate dai fenomenologi del Novecento.
Il dialogo tra cultura umanistica e scientifica, ha poi aggiunto Terrin, deve confrontarsi e prendere posizione rispetto ad alcune “tendenze naturalizzanti” dell’epistemologia: si tratta del tentativo di “inglobare” un sapere umanistico spiegandolo esclusivamente nei termini della sua “controparte scientifica”. Si tratta di un’operazione che finisce per perdere di vista alcune componenti della nostra esperienza cosciente: ad esempio i qualia, cioè le sensazioni vissute in prima persona, non risultano spiegabili in termini di descrizioni oggettivanti in terza persona.
Un grande contributo delle neuroscienze odierne ci viene dall’allontanamento definitivo dello spettro dualista cartesiano che separava nettamente mente e cervello. Invece, è oggi chiarissimo come l’esperienza antropologica sia profondamente incarnata e basata su un substrato neuronale, il cui studio può fornirci dati preziosi per la nostra autocomprensione.
È dunque solo da reciproco ascolto e da reciproco rispetto che un dialogo interdisciplinare potrà fiorire. Il libro di Terrin apre questa prospettiva e l’incontro del Centro Pattaro rappresenta un esempio riuscito e un buon auspicio per incroci futuri.
(Michele Orioli)