Per la prima volta, a Recanati, nella ricorrenza della nascita di Giacomo, Casa Leopardi apre al pubblico un nuovo percorso di visita denominato “Ove abitai fanciullo”. Apertura prevista per marzo scorso, rinviata a causa dell’emergenza sanitaria, ora si potrà accedere al piano nobile del Palazzo. Un percorso unico, nel rispetto delle recenti norme igienico-sanitarie, alla scoperta dei luoghi in cui Giacomo è nato e cresciuto.
Il nuovo percorso consente ai visitatori l’accesso ai saloni di rappresentanza del Palazzo; alla galleria dove sono esposte le collezioni d’arte; al giardino che ispirò gli immortali versi de Le ricordanze; al salottino dove i fratelli Leopardi si intrattenevano e alla camera privata di Giacomo Leopardi, dalla cui finestra egli rimirava il cielo, la luna e le vaghe stelle dell’Orsa.
E non solo poesia, ma anche musica in casa Leopardi. Al piano nobile del palazzo, che risale alla metà del XVIII secolo, c’è anche la “Sala dell’Accademia” dove il conte Monaldo, padre di Giacomo, era solito radunare i membri dell’Accademia Letteraria dei Diseguali Placidi, già presente a Recanati nel XV sec. e da lui ripristinata nei primi anni dell’Ottocento (Ravvivati 1801-1803). Nella vasta e ricca biblioteca privata e nell’archivio sono conservati oltre 200 esemplari tra libretti d’opera dal XVII al XIX secolo, Cantate sacre e Oratori per particolari solennità. Altri libretti sono legati alle consuetudini teatrali dei membri della famiglia e riguardano rappresentazioni operistiche date nel Teatro cittadino sin dalla sua costituzione (inizi 700).
Durante il periodo di Giacomo, il tempo delle Accademie tramonta e lascia spazio al nuovo genere della musica lirica; fioriscono le attività teatrali ed operistiche a livello popolare, ed è la musica strumentale ad esser maggiormente praticata ed eseguita, soprattutto nei palazzi della nobiltà e dell’alta borghesia. Tra l’altro, tra i fratelli Leopardi c’è anche un valido musicista: Luigi, flautista, sempre alla ricerca di nuove partiture che gli consentissero di esibirsi nelle occasioni offertegli dall’ambiente familiare.
Sembra che Giacomo non si sia cimentato nel comporre o nell’eseguire musica, mentre la passione per quest’arte e l’attrazione che essa ha su di lui, sul suo animo – talmente sensibile ben oltre ogni immaginazione – è altissima. Parlando della musica, in una lettera di risposta del 28 aprile 1820, Leopardi ringrazia l’amico di famiglia Pietro Brighenti per l’invito a recarsi in visita da lui a Bologna “bella e dotta città” e, lamentandosi di essere costretto a vivere in una città “incolta e morta” come Recanati (e, da recanatese, il sottoscritto fa ammenda…), manifesta all’amico il bisogno di evadere da questo ambiente e condivide la sua passione per la musica in questo modo:
“La musica se non è la mia prima, è certo una mia gran passione, e dev’esserle di tutte le anime capaci di entusiasmo. I divertimenti e le distrazioni, se anche non fossero di mio genio, sono per sentimento di tutti quelli che mi conoscono il solo rimedio che resti alla mia salute distrutta, senza il quale io vo a perire e consumarmi inevitabilmente fra poco”.
Nei suoi scritti, però, quasi si configura un’idea di estetica musicale e c’è chi riscontra in essa la suggestione della musica di Rossini. C’è un passo nello Zibaldone in cui, pur non citando direttamente il compositore, Leopardi sembra infatti riferirsi proprio al suo stile compositivo:
“Dico che l’effetto della musica spetta principalmente al suono. Voglio intender questo. Il suono (o canto) senz’armonia e melodia non ha forza bastante né durevole anzi non altro che momentanea nell’animo umano. Ma viceversa l’armonia o melodia senza il suono o canto, e senza quel tal suono che possa esser musicale, non fa nessun effetto. La musica dunque consta inseparabilmente di suoni e di armonia, e l’uno senza l’altro non è musica”. (Zib. 1934, 17 ottobre 1821).
Nello Zibaldone ricorrono ben settantatré riflessioni sulla musica e, in sintesi, si può dire che la musica per lui ha la capacità di penetrare in maniera diretta il sentimento umano, di evocare ricordi e tradizioni, e di suscitare immagini poetiche come e in quanto natura; considera il suono naturale come substrato della musica, generatore delle sensazioni vago–indefinite che sono alla base della poetica dell’Infinito. Dice Davide Rondoni: “un poeta attentissimo alla musica, dunque, e al rapporto tra silenzio, suono, evocazione, tradizione e novità. Non è un caso, quindi, che al poeta del ‘vedere’ è invece l’udito a rivelare una possibilità di infinito” (D. Rondoni, E come il vento. L’infinito, lo strano bacio del poeta al mondo, Fazi Ed. 2019).
In effetti, proprio quello che il poeta sente nel profondo è ciò che lo mette in condizione di cogliere la bellezza e la drammaticità di quello che vede, della realtà. È ciò che le scienze psicologiche riconducono alla cosiddetta posizione esistenziale dell’“uditivo” e al conseguente canale di comunicazione (cfr. M.T. Romanini, Costruirsi persona, La Vita Felice 1999).
Non sorprende quindi la sua predilezione, ad esempio, per La donna del lago, di Rossini, opera epico-sentimentale di prefigurazione romantica, con ampie sezioni corali e strumentali, melodie limpide ed accattivanti ed una bella ambientazione “naturalistica”. Ce ne dà conferma in parte il suo carteggio con il fratello Carlo, quando il 5 febbraio 1823 gli scrive da Roma:
“Mi congratulo con te dell’impressioni e delle lagrime che t’ha cagionato la musica di Rossini, ma tu hai torto di credere che a noi non tocchi niente di simile. Abbiamo in Argentina ‘La Donna del Lago’, la qual musica eseguita da voci sorprendenti è una cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso, giacché m’avvedo pure di non averlo perduto affatto”.
I libretti conservati nella biblioteca di famiglia testimoniano che il poeta potrebbe aver assistito ad altre rappresentazioni rossiniane sia a Recanati, a Jesi, Torvaldo e Dorliska, nel Carnevale 1822, e nella primavera 1827, alla Semiramide al Teatro Comunale di Bologna.
Una curiosità: Giovanni Mestica, ne Il verismo nella poesia di Giacomo Leopardi (Nuova Antologia, 1880) dice che nel Carnevale 1829, Leopardi a Recanati va a teatro per seguire Il Barbiere di Siviglia, e aggiunge: “quel direttore di orchestra, che io giovanetto conobbi già vecchio a Montecosaro, mi raccontava che Giacomo v’interveniva sempre, vestito semplicissimamente, con un soprabito di pelone sotto un mantello a bavaretti … più volte era entrato con lui in discorso su quella musica … e ammirando lo aveva sentito notare nella medesima le bellezze più fine, che all’orecchio delle persone imperite dell’arte non sogliono rivelarsi”.
Altra curiosità: tra i musicisti suoi contemporanei (vissuti e operanti nell’arco di tempo che va dalla nascita alla morte di Giacomo Leopardi) annoveriamo, tra i maggiori e i minori dell’epoca: Paisiello (1740-1816), Cherubini (1760-1842), Beethoven (1770-1827), Spontini (1774-1851), Paganini (1782-1840), Morlacchi (1784-1841), Weber (1786-1826), Vaccaj (1790-1848), Rossini (1792-1868), Donizetti (1797-1848), Schubert (1797-1828), Giuseppe Persiani (1799-1869), Bellini (1801-1835), Berlioz (1803-1869), Ricci (1805-1859), Mendelessohn (1809-1847), Schumann (1810-1856), Chopin (1810-1849), Liszt (1811-1886), Wagner (1813-1883).
Ma quanti sanno che la poesia leopardiana è a sua volta fonte di ispirazione per i musicisti? Abbiamo già detto altrove che si può parlare di una sorta di “eredità musicale” di Giacomo Leopardi.
La biblioteca del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, edificio adiacente a Palazzo Leopardi, conserva uno specifico fondo musicale leopardiano, di sicuro interesse culturale, che consta di tre sezioni: la prima, più corposa, comprende le partiture, in originale o in riproduzione, di brani composti su testi leopardiani! Le due restanti sono relative a libretti e guide di poemi sinfonici e a materiale audio (CD, cassette).
Le partiture sono circa centocinquanta di famosi autori italiani e stranieri, della nostra epoca e del passato, tra i quali Pietro Mascagni, Gian Francesco Malipiero, Luigi Nono, Ildebrando Pizzetti, Mario Castelnuovo-Tedesco, Ferruccio Busoni, Amilcare Zanella, Gino Contilli, Goffredo Petrassi, Vittorio Fellegara, Riccardo Malipiero, Luigi Donorà, Giovanni Marini, Adriano Ariani, Matilde Capuis, Silvestro Baglioni, Lepanto De Angelis, Emidio Cellini, Francesco Vatielli, Giovanni Tebaldini, Peter Maxwell Davies, Knudage Riisager, Arne Melinas, Ferenc Farkas, Griffith Rose etc..
Svariati i generi musicali: prevalentemente romanze per voce e pianoforte, lavori corali e per organico da camere, ma anche opere liriche, poemi sinfonici e sinfonico–corali, brani strumentali solistici etc. Il testo maggiormente musicato? È naturalmente l’idillio L’Infinito, insieme a Imitazione. Non mancano comunque versioni musicali di brani dello Zibaldone e delle Operette Morali. Ed esistono naturalmente filoni di studi a sé sia su tali componimenti, sia sulla musicalità dei versi leopardiani.
Concludiamo citando don Luigi Giussani. “La tragicità di Leopardi sorge perché la realtà fa sognare l’uomo, lo esalta, nel senso latino del termine – ossia, lo prende e lo estrae innalzandolo in tutta la sua statura –; dal suolo della realtà l’uomo, che è come accovacciato e dormiente, si solleva. La realtà, insomma esalta l’anima umana, che diviene in essa un respiro sognante, che è ciò che fa vivere nonostante la sproporzione sofferta e la tragicità del sentimento. Tale sproporzione diventa, in questa evocazione della vita come sogno, sorgente di vaste meditazioni, cui il genio di Leopardi sa dare spazi di immagini, di parole e di musicalità che non hanno paragone in tutta la letteratura italiana” (L. Giussani, Le mie letture, Bur 1996).
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“Ove abitai fanciullo” è visitabile dal martedì alla domenica solo su prenotazione chiamando il +39 339 2039459. www.giacomoleopardi.it