Caro direttore,
in questi giorni si sente ripetere da più parti, con accenti e modalità diverse, un invito pressante ai cattolici perché si impegnino maggiormente in politica. Le ragioni di questa esigenza vanno cercate nei molteplici aspetti che la crisi attuale sta assumendo sul piano economico, sociale e culturale, ma anche sul piano dei valori religiosi e spirituali. La crisi mette in evidenza in modo particolare la mancanza di speranza, che rende difficile immaginare un mondo migliore su cui investire coraggiosamente, pensando alle generazioni future. Non a caso Papa Francesco ha voluto dedicare questo Giubileo 2025 alla speranza, toccando con mano come si sia ristretto, anche sul piano umano, l’orizzonte della nostra società, a cominciare dalla grave crisi demografica, in Italia e in Europa. C’è una diffusa paura ad investire sulle nuove generazioni, a cui si ha la sensazione di lasciare in eredità un mondo che ha perso molto del suo slancio creativo. È una crisi di speranza, ma anche una crisi di fede, che inevitabilmente confluisce in una crisi di quella fraternità che rende possibile la solidarietà, la coesione sociale, l’apertura all’accoglienza e al prendersi cura dei più fragili.
Non si tratta di dare vita ad un partito cattolico, ma di rendere più chiara ed autorevole la voce dei cattolici nei diversi partiti e schieramenti. È sempre più forte l’urgenza di riscoprire nella dottrina sociale della Chiesa l’ispirazione e la motivazione necessarie per rinnovare nella nostra società una maggiore coesione e un maggiore rispetto reciproco, indispensabili per raggiungere obiettivi come la pace e un autentico progresso umano prima ancora che tecnologico. La data del 18 gennaio ha sempre avuto nel panorama politico italiano un potere evocatore di speranza e di rinnovamento, grazie a quell’appello rivolto da Sturzo, subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, ai “liberi e forti” per un rilancio culturale, economico e sociale del Paese, fondato su di una ritrovata coesione dei cattolici e aperto al dialogo con tutti coloro che si riconoscevano nelle comuni convinzioni morali e religiose. Quell’appello è un manifesto programmatico, che rappresenta una pietra miliare nella storia del cattolicesimo democratico italiano; chiamava a raccolta tutti i “liberi e forti”, senza distinzione di confessione o di fede e disegnava un partito centrista e moderato, pronto ad alleanze con chi avesse condiviso il valore della libertà religiosa, il ruolo della famiglia, la libertà d’insegnamento, l’importanza della piccola proprietà contro monopoli e latifondi e contestualmente esaltava il ruolo del decentramento amministrativo. Il neonato Partito popolare, grazie al superamento delle diverse visioni, che c’erano allora come oggi, fu in grado di raccogliere alle elezioni politiche del 1919 il 20,5% dei voti, fece eleggere 100 deputati, diventando una forza indispensabile per la formazione di qualsiasi governo.
Anche quest’anno si rinnova l’antica suggestione che dal mondo cattolico possa venire una risposta politicamente coerente per rispondere agli interrogativi del nostro tempo; interrogativi solo apparentemente inediti, mentre in realtà ripropongono quesiti analoghi a quelli di allora. A cominciare dalla pace, perché anche allora il mondo stava emergendo da quell’immane disastro che fu la Prima guerra mondiale, e dalla conflittualità interna, che anche allora vedeva i cattolici arroccati in correnti in opposizione tra di loro. Eppure si respirava un’aria nuova, aperta alla speranza. Sembrava che tutti volessero le riforme sociali, si auspicava la nascita di cooperative e di altre forme organizzative necessarie per dare vita a banche, a società di mutuo soccorso, a organizzazioni professionali, a scuole per l’istruzione giovanile e popolare. Tutti volevano una maggiore partecipazione dei cattolici alla vita pubblica. Si cercavano soluzioni al problema del Mezzogiorno, con una riorganizzazione scolastica che consentisse nuove forme di lotta contro l’analfabetismo, si parlava di riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari, di semplificazione della legislazione. Il manifesto di Sturzo affermava come fosse un dovere imprescindibile delle democrazie sane e dei governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali.
Domani, 18 gennaio, molti torneranno ad interrogarsi sulla grande avventura proposta da Sturzo. A sinistra sono due le iniziative più evidenti: a Milano, l’evento di inaugurazione di “Comunità Democratica“, nuovo soggetto politico che vuole rappresentare l’area cattolica democratica in Italia, per promuovere una partecipazione più attiva e consapevole dei cittadini nella vita democratica del Paese. Nel suo programma c’è il ritorno ai valori dell’etica, sia essa di stampo laico o squisitamente cristiano, la crisi demografica e la partecipazione fattiva ai temi europei, cercando di tenere insieme la “cessione di sovranità proposta da De Gasperi con l’autonomismo di don Sturzo”. Ma c’è un’altra sinistra che negli stessi giorni si riunirà ad Orvieto e da cui arrivano messaggi diversi che mostrano come nel Pd esistano visioni, e non solo sfumature, diverse, che indicano strade che potrebbero condurre a conclusioni diverse. È il convegno dei riformisti, con un endorsement molto importante di Paolo Gentiloni, sempre molto attento alla realtà europea.
Nel centrodestra, soprattutto nel centro del centrodestra, a partire dall’Udc, c’è la ferma convinzione che molti parlino di centro restando ai margini della visione di Sturzo, che voleva ricostruire i valori fondativi della democrazia italiana a partire da due elementi chiave: da un lato la partecipazione popolare come motore della vita associata e dall’altro il dovere di “guidare” eticamente e politicamente il Paese, al di là delle effimere rilevazioni statistiche del consenso. Di questo si parlerà nell’incontro promosso da Lorenzo Cesa nei prossimi giorni. Occorre interpretare nella giusta prospettiva i grandi problemi di oggi sul piano economico, demografico, scientifico e culturale, senza tradire valori forti, come la vita e la famiglia, la scuola e la salute, la coesione sociale e la solidarietà, che non possono essere solo proclamati ma vanno concretamente realizzati nel lavoro di ogni giorno.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.