È un libro da leggere Sud. Il capitale che serve di Carlo Borgomeo (Vita e Pensiero, 2022) perché esprime convinzioni conquistate “sul campo”, in presa diretta; è un documento lucido nella descrizione dei processi fallimentari dei giganteschi interventi pubblici e capace di cogliere quelli che sono i germogli di una rinascita che il Sud sta già operando.
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Settantadue anni di mastodontici interventi pubblici a favore del Mezzogiorno non sono serviti a ridurre il divario col resto del Paese e Borgomeo si concentra a individuare le cause, anziché limitarsi ai desolanti e tristi noti effetti e in questo modo si avvicina al midollo della questione: quali sono le condizioni necessarie per la costruzione dello sviluppo? Tema fondamentale a livello globale per tutta la vicenda della cooperazione allo sviluppo ed in termini essenzialmente esistenziali per la rinascita (o il risveglio) del soggetto umano.
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Gli errori sono perlopiù di prospettiva, ovvero di strategia, quindi una insufficiente capacità di visione capace di tener conto di tutto. Il primo capitale errore è di presunzione: chi detiene le risorse, sa. Sa cosa occorre, come farlo e in che tempi: non parla con i territori, decide e impone (salvo poi subire le pressioni rivendicative e le formule clientelari dei politici locali).
Un secondo (grave) errore è misurare lo sviluppo esclusivamente in termini economici e di conseguenza il solo modo per risolvere il problema meridionale non poteva che essere l’impiego di ingentissime risorse economiche pubbliche: nel 1983 il segretario della Democrazia cristiana, Ciriaco De Mita impose per risolvere definitivamente la questione una “potente spallata”: l’investimento di 120mila miliardi di lire in dieci anni! (sono così tanti soldi che non riesco nemmeno a immaginare cosa siano in euro).
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Risorse – ennesimo errore – da realizzarsi prevalentemente attraverso l’industrializzazione (proseguendo una via iniziata negli anni 60). “L’arrivo di una grande fabbrica era sognato, rivendicato e vissuto dai territori come la svolta, come il raggiungimento dell’obiettivo”.
Settantadue anni di fallimenti portano Borgomeo a dire che è ora di rovesciare il paradigma e incamminarci su una nuova via.
Arrivano i soldi e arriva lo sviluppo è una menzogna da demolire. Occorre un altro capitale capace di muovere alla radice le energie creative della persona. Occorre l’emergere e l’affermarsi di quel capitale sociale dove sincronicamente si rapportano fiducia, reti relazionali e norme condivise.
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E dove si trova la terra in cui questi semi necessari possono germinare? Osservando i fatti l’autore non ha dubbi: nel Terzo Settore,“prima chiamato ad un’opera di integrazione e supplenza rispetto all’intervento pubblico, assoluto detentore delle risorse, unico responsabile delle politiche e delle loro attuazioni; oggi protagonista attivo delle politiche sin dalla fase di programmazione e di progettazione degli interventi e capace di assicurare gestioni più capaci e più efficienti”.
Il percorso diventa a questo punto molto attraente perché Borgomeo si spinge ad individuare la necessità di una nuova classe dirigente che dismetta i panni rivendicativi che addossa allo Stato tutte le responsabilità dell’arretratezza del Meridione; nuovi politici e nuovi imprenditori che lavorano sul fronte della domanda che esprime il territorio. E dove andare a reperirla questa nuova classe dirigente se non nel Terzo Settore, inteso come l’espressione di forza organizzata dei cittadini per il raggiungimento di scopi comuni?
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Chi opera nel sociale anzitutto non è teorico. Quello che sa lo conquista sul campo e di conseguenza conosce le sfide essenziali: un preoccupante calo demografico e i vastissimi flussi migratori di giovani che scappano dal Sud; una gravissima povertà educativa (le spese sostenute da Comuni e Regioni a Statuto ordinario per l’istruzione nel 2018 erano di 94,5 euro per abitante nel Nord Italia, 92,8 euro al Centro e 43,7 euro al Sud); infine sanità, servizi sociali, senso civico e partecipazione alla politica.
In questo desolante scenario uno splendido dato inverte drasticamente l’irrimediabile depressione: nel periodo 2011-2019 nel Mezzogiorno si registra il più alto tasso di crescita (+24,9%) rispetto alla media nazionale, di nuove organizzazioni non profit. “Per rafforzare legami di fiducia, per consolidare percorsi di coesione sociale, bisogna investire nel sociale, sostenendo i soggetti che promuovono processi di inclusione e rinforzano le comunità”.
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Il capitolo conclusivo documenta efficaci esperienze dove il sociale prevale sull’economico: storie di un Sud che funziona.
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