Continua la saga di “un italiano in America”, il pesarese Maurizio “Riro” Maniscalco, con un nuovo capitolo, Sono finito in Minnesota (Società Editrice Fiorentina, 2022) che ha compiuto il percorso dall’Italia agli States non su un’imbarcazione di legno sbarcando a Ellis Island insieme a migliaia di poveri meridionali in cerca di una vita migliore, ma a bordo di un comodo jet delle linee aeree italiane. Non che anche lui non abbia vissuto momenti di difficoltà, come racconta nel primo episodio di questa saga, “Mi mancano solo le Hawaii”, quando arrivato nella Grande Mela senza conoscere nessuno, in cerca di lavoro, si era adattato a uno squallido alberghetto in Times Square, del tipo di quello che si vede nel celebre film dei Blues Brothers.
Quello che invece aveva mosso un avviato dirigente bancario senza problemi economici era piuttosto un’ansia esistenziale, il desiderio di toccare con mano se esistesse veramente quella “promised land” in cui quelli della sua generazione, quelli “degli anni 70”, erano cresciuti. Ma esiste davvero una terra promessa su questa terra che ogni giorno che passa, con le guerre che scoppiano anche nel cortile di casa nostra, le ingiustizie razziali, le persecuzioni religiose, le famiglie che si frantumano, i figli che ammazzano i padri e i padri che uccidono i figli? No, non esiste, ma esiste la promessa: “Vi posso assicurare che per scoprire la bellezza del “cominciare”, del “ricominciare” o meglio del “continuo nuovo inizio” non c’è bisogno di andare in America a trentanove anni o in Minnesota a sessantacinque. A me però è andata così, e ne sono molto grato e pure un pochino orgoglioso, anche se so bene che non è merito mio” dice Riro, aggiungendo: “Che siano le viuzze di Pesaro, i navigli di Milano, i colori di Brooklyn, i grattacieli di Manhattan o gli sconfinati orizzonti del Minnesota rende le cose diverse solo all’apparenza. Sono tutti nuovi inizi. Basta che il cuore dica di sì”.
Ci vuole un cuore così, un cuore grande e pronto a farsi ferire, cosa che ormai non ha quasi più nessuno, annichiliti come siamo nel brodo esistenziale che è questa società fatta di Netflix, social network, programmi tv fatti di idoli usa e getta. Ed eccolo, Riro Maniscalco, che un tempo ci raccontava di aver visitato ogni singolo Stato americano almeno una volta, dirci che “gli mancavano solo le Hawaii” e abbandonare la sua amata New York per approdare nel Minnesota, stato ai margini del grande impero americano, nel profondo nord, terra quasi sempre sotto lo zero, tra neve e ghiaccio, insomma non proprio quelle Hawaii sempre sognate, mosso più che altro da ragioni di famiglia adesso che è nonno e lì ha dei nipotini a cui accudire. Ma anche il Minnesota ha il suo fascino, a cominciare dal fatto che qui nasce il grande fiume che divide in due il paese, il Mississippi – sulle cui sponde è nato il blues, la musica che Riro ama di più – con i suoi diecimila laghi (anzi oltre undicimila precisa l’autore). Quindi un incanto.
Con il suo stile un po’ alla Mark Twain un po’ Jack London e un po’ alla Jack Kerouac “de noialtri” anche questa volta l’autore ci conduce per mano scoprendo, con umorismo, intelligenza e brillantezza, questo angolo di America. Un libro scritto in un periodo storico tragico, perché quando lui e la moglie cominciano a fare i bagagli a Brooklyn la pandemia del Covid è appena scoppiata: “Abbiamo salutato Bay Ridge avendo come destinazione un oscuro indirizzo a Saint Cloud, Minnesota, dove avremmo risieduto provvisoriamente per chissà quanto tempo. Il piano originale, quello preparato prima della pandemia, aveva previsto un viaggetto nella terra dei laghi a marzo alla ricerca della nuova abitazione. Tutto saltato, il virus ha scombussolato tutto (ancora siamo dietro al rimborso dei biglietti aerei). Così le nostre figlie ci hanno rimediato una casetta in affitto, e gli amici indigeni ci hanno tutti dato una preziosissima, impagabile mano arredando il nuovo rifugio in maniera più che dignitosa e adeguata alle nostre esigenze”.
Comincia così l’avventura nel Midwest che Riro racconta nei dettagli, con la curiosità che lo contraddistingue, passando dall’umorismo al realismo, dalle curiosità allo stile di vita: “Qui nel Midwest siamo proprio nel mezzo del Paese, non a sud, ma nel mezzo verso nord. Siamo così nel mezzo (a nord…) che il Midwest viene chiamato anche Middle America, o Heartland, l’America di mezzo, il cuore del Paese, e anche America’s Breadbasket, il cestino del pane dell’America perché qua ci sono più pannocchie di granturco (corn) nei campi che stelle nell’infinito cielo. Infatti siamo anche la Corn belt, la cintura del granturco, quell’area del Paese dove si produce una quantità ciclopica di frumento. Al cinema e anche quando si guardano i film a casa si mangia pop corn a tutto spiano proprio per questo; ne produciamo così tanto che in qualche modo bisogna finirlo”.
E il clima naturalmente: “L’inverno del Minnesota è: lungo, possiamo dire; bianco, possiamo aggiungere; gelido, possiamo confermare (…) il giorno più lungo dell’anno, verso il 21 giugno, dura oltre 15 ore di luce solare, il 21 dicembre in compenso fa buio alle 4 e 30 di pomeriggio”. Ma anche i tantissimi festival che rallegrano la vita degli abitanti: “Pare che la gente di qua ci tenga particolarmente. Non c’è stagione che non ne abbia un tot e angolo del Paese che non ne abbia uno”.
Ma l’America è terra di contraddizioni e violenza, vittima di un peccato originale, il genocidio dei nativi e la tratta in schiavitù di milioni di africani: “Sembra che da quando siamo arrivati qua Minneapolis sia diventata l’epicentro della lacerazione razziale. La questione razziale, quella piaga incurabile che affligge questo Paese sin dalla sua nascita, il peccato originale che nulla sembra poter lavar via (…) Un Paese edificato – nelle sue intenzioni – su vita, libertà e ricerca della felicità, ma non sempre fedele a quelle promesse. Non per tutti allo stesso modo. E ancora paghiamo a caro prezzo l’incapacità di guardarci e trattarci. E non può bastare la ricerca di un equilibrio fatto di norme e leggi (…) Dove è finita the land of the free, la terra dei liberi di cui cantiamo sempre nell’inno nazionale?” si chiede Maniscalco.
Domande apparentemente senza risposta, ma quello che conta è tenere un cuore libero e appassionato: “The unforeseen and unforeseeable, l’imprevisto e l’imprevedibile dentro al quotidiano – che è poi il grande campo di battaglia della vita. Perché in verità credo che il punto del libro sia quello e solo quello: provare a raccontare come si possa vivere facendosi portare dove il Destino chiama, con lo sguardo e il cuore di un bambino – anche se il corpo casca a pezzi come quello di un novantenne”.
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