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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Gertrud von le Fort, la Donna eterna e il linguaggio nuovo

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LETTURE/ Gertrud von le Fort, la Donna eterna e il linguaggio nuovo

Massimiliano Pollini
Pubblicato 12 Settembre 2025 - Aggiornato alle ore 15:15
Leonardo da Vinci, "Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino" (1501-05, particolare)

Leonardo da Vinci, "Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino" (1501-05, particolare)

Nel giorno della Memoria del Santissimo Nome di Maria, una nuova riflessione su "La Donna eterna" di Gertrud von le Fort (2)

Nella sua opera intitolata La Donna eterna (München 1934), Gertrud von le Fort dipana i misteri mariologici e rischiara i loro reciproci nessi con tale finezza, precisione e risolutezza di spirito che presto affiora nell’animo del lettore l’intima persuasione che tutto si tiene, che esiste davvero un ordine, un nesso ineffabile tra Cielo e terra, che resta tuttavia di solito velato agli occhi sonnolenti dell’animo umano.


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Come aquila e come sentinella, Gertrud von le Fort colse dall’alto il senso delle cose e i segni dei tempi. A lei ben si addicono le parole di san Gregorio Magno: “Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza”.

Contemplando il dischiudersi del mistero della “donna nel tempo”, l’autrice osserva che, mentre l’uomo da un lato “libera la sua energia nella propria opera”, la donna dall’altro “non la libera, ma la trasmette alla generazione successiva”: “Se si vuole conoscere l’origine di grandi talenti, allora dai figli si deve risalire non ai padri, ma alle madri. Lo garantisce un grande numero di uomini geniali e delle loro madri”.


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In virtù del mysterium charitatis, la sponsalità della donna, che riluce nella vergine “sposa di Cristo” e si compie in Maria, “sposa dello Spirito Santo”, si esprime in profondità anche nel fatto che la donna sposata è “sposa dello spirito maschile”; ciò significa che la sposa, in quanto è l’altra metà dell’uomo, rappresenta “l’altra metà dell’essere stesso”. “La donna, in qualsiasi modo si dedichi all’uomo, gli porta in dote la metà di un mondo! Nella dedizione della donna, in quanto rivelazione di quest’altra metà del mondo, consiste la partecipazione femminile all’opera creativa spirituale-culturale dell’uomo. Dedizione è rivelazione, ma una rivelazione velata. Persino nell’al di là, Beatrice in un primo tempo si fa incontro a Dante velata! [Purgatorio XXX, 67-69]”.


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L’amore vero dell’uomo e della donna, che esige santificazione, è inscritto nell’onda lunga che conduce al Cielo e nell’umile “fiat mihi” della creatura – maschio e femmina – rivolto a Dio. Commentando l’effato di Léon Bloy: “Più una donna è santa, più ella è donna”, von le Fort osserva: “Questo è anche ciò che Dante intende quando in quel meraviglioso passo del suo grande poema egli guarda Beatrice, mentre gli occhi di lei rimangono fermamente rivolti a Dio. Qui Dante vede non il divino nella donna, bensì vede Dio perché ella volge lo sguardo a Dio. Qui è conosciuto e rappresentato il significato religioso della donna e, al contempo, il significato religioso dell’amore tra uomo e donna”.

(Pixabay)

Nel fiducioso abbandono del loro fiat all’opera di Colui che sempre opera (Gv 5,17), dolcemente sorretti dal fiat di Maria, l’uomo e la donna sono chiamati a costruire, a edificare non solo nel solido regno materiale, ma anche e in special modo nell’ancor più solido, stabile, consistente regno spirituale della parola, come cantano le voci di umili operai nei Cori da ‘La Roccia’, opera di T. S. Eliot pubblicata lo stesso anno de La Donna eterna – e, si badi, la “Roccia” cantata dal poeta, che nel linguaggio biblico è uno dei nomi di Dio (Dt 32, 4: “He is the Rock”, King James Bible), è Pietro, in aramaico Kefa, il nome nuovo che Gesù impose a Simone, figlio di Giona (Mt 16, 17-18), la “pietra d’angolo” è lo stesso Cristo Gesù (Ef 2, 20), la “rocca” invece non c’entra nulla, con buona pace della traduzione in voga (ch’avimm ’a ffa’?): “Dove non si pronuncia la parola, noi costruiremo con un nuovo linguaggio” (T. S. Eliot, Choruses from ‘The Rock’ [1934], in Collected Poems (1909-1962), New York 1963, p. 150: “Where the word is unspoken / We will build with new speech”; tr. it. di M. Respinti, La Roccia. Un libro di parole, Biblioteca di Via Senato, Milano 2004; vedi anche: Foreword on the Play by T. S. Eliot and M. Browne, in The Complete Prose of T. S. Eliot. Critical Edition, Vol. 5, Baltimore – London 2017, p. 90: “La Roccia […] simboleggia la permanenza e la continuità della Chiesa di Dio, e la sua resistenza alle forze del male e alla dissoluzione”).

Edificati noi stessi sopra la pietra di fondazione degli apostoli e dei profeti, possiamo e dobbiamo edificare con un nuovo linguaggio e, mediante esso, cantare il mistero della comunione, del Regno delle Persone e delle persone, pronunciando ognuno – ci aiuta a farne memoria G. von le Fort – il proprio fiat, l’antica e sempre nuova parola dell’umile e alta Madre della Parola – Mater Verbi. Non abbia ella a disprezzare le parole di tutti coloro che edificano con un linguaggio nuovo, quand’anche esso fosse povero semplice disadorno come la lallazione di un bimbo svezzato in braccio a sua madre, nella speranza vivace di cantare un giorno a viva voce l’inno alleluiatico, là dove al vincitore il Signore darà “una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce al di fuori di chi lo riceve” (Ap 2, 17).

(2 – fine)

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