A leggerli con reale attenzione, come quella con cui si affrontano le pagine di un libro di testo che si deve studiare, gli scritti di Luigi Giussani riservano sempre qualche sorpresa e sopra tutte quella di un pensiero originale e creativo (A. Scola, Un pensiero sorgivo. Sugli scritti di Luigi Giussani, Marietti 1820, 2004) che attraversa tutti i temi e tutte le discipline.
Abituati a considerarlo principalmente come educatore, oppure come fondatore di un movimento ecclesiale, può restare nell’ombra che si tratti in realtà di un “pensatore da 360 gradi” che ha affrontato temi come la dinamica della conoscenza e l’irriducibile unità della persona, aspetti che lo hanno indotto ad assegnare al desiderio un ruolo decisivo anche sul piano socio-politico. Probabilmente è di questa statura del personaggio che si è reso conto Papa Francesco quando ha avvertito che non è ancora stata approfondita tutta l’ampiezza d’orizzonte del suo carisma.
A questo livello sorprende l’impressione che emerge anche da un piccolo “sondaggio” come quello tentato dallo scrivente (Passione per l’umano, passione per la libertà. Tracce di politica nel pensiero di Luigi Giussani, Cantagalli/Eupress Ftl, 2023) che nel suo pensiero ravvisa uno spazio per la politica (fin da Il senso religioso, il suo testo antropologico-filosofico fondativo) molto più organico di quanto non si pensi e che meriterebbe uno studio sistematico; in questa sede non si può che limitarsi a qualche cenno.
Per esempio, guardando alla sua rivendicazione della libertà associativa, sentita generalmente come affermazione di un diritto fondamentale e inalienabile della persona, ci si accorge che essa in realtà nel suo pensiero è molto di più; è una vera e propria “teoria” della società e dello Stato in cui il libero aggregarsi delle persone, la realizzazione di comunità è la prima manifestazione della politica nel senso dell’organizzazione della società finalizzata alla soluzione dei bisogni; è quella forma creativa di politica che si chiama sussidiarietà. Ed è per questa appartenenza nativa alla politica che nella sua idea l’associazionismo ha la stessa dignità di quei bisogni che costituiscono l’essenza della polis, come il lavoro, l’istruzione, la sanità, ecc. e che, come questi ultimi, dovrebbe essere tra le finalità prioritarie dello Stato, anzi tra le ragioni della sua stessa esistenza.
Per Giussani la politica è l’aggettivo della polis, cioè della convivenza sociale; luogo privilegiato dell’incontro con l’altro che la pensa diversamente, ma c’è e ha diritto come tutti di partecipare alla vita della polis. E dunque, è luogo del dialogo tra persone e realtà umane diverse che si stimano e si rispettano perché coinvolte nel “cammino diverso al comun destino”, come dice con un pascoliano volo poetico (L’io, il potere e le opere. Contributi da un’esperienza, Marietti 1820, 2004, p. 179; in un testo del 1964). Ma che non si tratti di bella utopia fa fede che a un dialogo di questo genere si sia ispirata la realizzazione in Italia dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà.
Quando poi si rivolge ai cristiani, li invita a entrare nel campo nella polis con gli “strumenti” dell’unità, della condivisione, della comunione e del dialogo. Da ciò si comprende che quel campo per lui è prima di tutto il luogo della testimonianza, del mostrare l’esperienza di vita nuova con cui l’“avvenimento cristiano”, come lo chiama, chiede che si affrontino i bisogni interi della persona, quelli materiali non meno di quelli “spirituali”; in ossequio alla convinzione che il cristianesimo sarebbe un’astrazione, che può anche tramutarsi in ideologia, se non si confrontasse con le necessità del vivere e perciò con la dimensione politica.
Poiché l’attualità è sempre alle porte, non si può tralasciare la recente riproposizione della dicotomia tra impegno politico e cosiddetta “scelta religiosa”, sostanzialmente intesa come un rinchiudersi nelle sacristie (ne riferisce anche un libro appena uscito). Senza entrare nel merito, la circostanza spinge ad una considerazione che attiene all’intento di queste righe. A parte il fatto che la scelta religiosa così intesa è frutto del preconcetto per cui una distinzione tra fede e politica sia una sorta di Aventino della fede a prescindere, bisogna anche dire che, se guarda alla sua storia, il mondo cattolico può trarre motivi per prendere la questione in una prospettiva allargata: perché il rapporto tra fede e politica è da sempre il nodo gordiano del cattolicesimo; è una vecchia storia che però può nascondere il risvolto perverso della divisione tra cristiani a motivo delle scelte politiche. Su cui vigilare sempre.
Anche a questo proposito Giussani apre una via d’uscita: ad imitazione di Cristo, è la passione per l’umano il principio unitario che dovrebbe guidare i cristiani in politica e che potrebbe evitar loro di “incrodarsi” sul rapporto fede-politica, di appiattirsi sulla scelta un po’ manichea tra destra e sinistra, liberando la politica dall’idolo della vittoria a tutti i costi sugli schieramenti opposti che alla fine non fa che portare alla frantumazione dell’unità.
Al contrario, uno dei principali motivi della “partecipazione dei cristiani alla lotta per una società nuova” – dice Giussani (intervista di R. Ronza, Il movimento di Comunione e Liberazione. 1954-1986, Rizzoli 2014, p. 79) – è proprio il contrasto alla divisione e all’estraneità.
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