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Home » Cultura » LETTURE/ L’Ucraina, Kaliningrad e la lezione di Berlino: cosa imparare dalla storia

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LETTURE/ L’Ucraina, Kaliningrad e la lezione di Berlino: cosa imparare dalla storia

Lorenzo Piccioli
Pubblicato 31 Agosto 2022
Berlino, la Porta di Brandeburgo (Pixabay)

Berlino, la Porta di Brandeburgo (Pixabay)

Grazie a un ponte aereo, gli occidentali rifornirono Berlino sfidando l'Urss. La Berlino di ieri è la Kaliningrad (e l'Ucraina) di oggi?

In una delle sue opere, il filosofo francese Alexis de Tocqueville scherza sulla ciclicità della storia, affermando che essa è come una galleria di quadri, con all’interno pochissimi pezzi originali e tantissime riproduzioni. Sarebbe difficile smentire il pensatore parigino, considerando quante analogie si possano individuare tra i più disparati eventi storici, se soltanto ci mettessimo a studiarli in modo critico ed accurato.


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Talvolta, queste analogie possono emergere solo dopo lunghe analisi e riflessioni sugli eventi stessi, sulle loro cause e sulle loro conseguenza, come una linea sottile capace di districarsi attraverso la complessità della nostra realtà che distanzia (o sembra distanziare) fatti e nozioni apparentemente incompatibili tra di loro. Altre volte invece, le suddette analogie possono risultare molto più immediate ad un primo sguardo, addirittura ironiche al di sopra della tragicità dei fatti concreti, vedendo come gli eventi si ripetono in modo quasi pedissequo con piccoli cambiamenti di superficie, nonostante il contesto dove essi avvengono sia mutato radicalmente.


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Nel giugno 2022 la Lituania annuncia il blocco del trasporto terrestre di merci e beni provenienti dalla Russia verso l’enclave di Kaliningrad, una piccola fascia di suolo russo situata all’interno della Lituania sin dal termine del secondo conflitto mondiale, quando l’allora Unione Sovietica decise di annettersi quella che fino ad allora era stata la tedeschissima città di Königsberg per motivi puramente strategici. Il governo lituano ha giustificato questa sua decisione affermando di aver agito in accordo alle sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Federazione Russa in seguito all’eruzione della crisi in Ucraina del 2022. La reazione da parte di Mosca è dura ed immediata, con l’annuncio di pesanti ritorsioni da parte dei portavoce del Cremlino qualora l’embargo non venisse revocato. Mentre i giorni passano, la paura di un escalation militare con conseguenze disastrose si fa sempre più vivida agli occhi dei cittadini e dei politicanti europei e non.


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La reazione russa, che in un primo momento può apparire spropositata, ha invece una base logica molto forte. Kaliningrad rappresenta una delle posizioni più importanti per la Russia dal punto di vista strategico-militare, permettendogli di potere esercitare una certa influenza su uno dei lembi d’acqua, il Mar Baltico, più importanti all’interno dell’eterno confronto tra Mosca e la Nato.

Ma nella tragica freddezza degli eventi storici, come già detto prima, è facile distinguere una vena di sarcastica ironia lungo il filo rosso che, passando attraverso il presente, lega il passato con il futuro. E a seguito di una doverosa opera di scrematura, si può rivedere nello specchio dei fatti di Kaliningrad la forma di un’altra recita della storia, con degli attori molto simili ma che recitavano nei ruoli opposti a quelli di oggi.

La recita in questione riguarda un’altra città tedesca, forse ancora più tedesca della stessa Königsberg. Capitale del Brandeburgo prima, poi della Prussia e infine della Germania, a metà del secolo scorso Berlino riusciva ancora ad emanare magnificenza nonostante le evidenti ferite della seconda guerra mondiale. Ferite che non erano solo fisiche: l’ultima roccaforte di Hitler era stata infatti spezzata in quattro tronconi dalle potenze vincitrici, ognuna delle quali ne occupava militarmente uno. Ma se il libero movimento era garantito tra i settori francese, inglese ed americano, stessa cosa non si poteva dire per quanto riguardava il flusso di beni e persone tra le zone d’occupazione occidentali e quella presidiata dall’Unione Sovietica, che peraltro non si estendeva soltanto sulla parte di Berlino non sotto il controllo degli alleati occidentali.

Berlino Ovest era infatti un enclave occidentale all’interno della parte di Germania sotto il controllo dell’Armata Rossa, come un piccolissimo atollo nell’oceano. Questa sua particolare caratteristica geografica la rendeva molto vulnerabile ad un eventuale tentativo di pressione da parte dell’Unione Sovietica; il Cremlino era cosciente di ciò, e non si sarebbe certo fatto sfuggire l’opportunità.

Opportunità che si presentò nel 1948, quando nelle zone d’occupazione occidentali venne introdotto ufficialmente il marco tedesco a sostituzione della valuta d’occupazione allora circolante. I sovietici rimasero (o almeno finsero di rimanere) totalmente shoccati dalla unilaterale e minacciosa decisione degli ex alleati, e decisero di reagire in modo deciso. Il 24 giugno, pochi giorni dopo l’introduzione del marco, l’Unione Sovietica blocca tutti gli accessi terrestri a Berlino Ovest. Il giorno successivo, i sovietici smettono di fornire cibo alla popolazione civile non residente nella zona controllata dall’Armata Rossa.

Con questo colpo di mano, i sovietici volevano costringere gli occidentali a rinunciare al loro parziale controllo su Berlino, facendo leva sull’imminente crisi umanitaria che il mantenersi dello status quo avrebbe indubbiamente provocato, sia sulla netta superiorità militare dell’Armata Rossa nei confronti delle esigue guarnigioni occidentali in loco. La nomenklatura di Mosca non aveva intenzione (almeno a quanto pare ad oggi) di far scoppiare una nuova guerra mondiale, ma voleva andarci il più vicino possibile, o almeno così vicino da costringere Francia, Usa e Gran Bretagna a fare un passo indietro e a rinunciare al loro caposaldo nel mezzo di quella che di lì a poco sarebbe divenuta la Repubblica Democratica Tedesca. Un coltello puntato alla gola, per una potenza militare che non aveva ancora raggiunto la parità nucleare con gli Stati Uniti.

Ma gli occidentali non cedettero. Grazie ad un ponte aereo durato quasi un anno, le potenze alleate continuarono a trasportare rifornimenti nel settore occidentale di Berlino, fino a che l’Unione Sovietica non si decise a rimuovere il blocco. Un tentativo d’assedio economico che rischiava da un momento all’altro di portare allo scontro militare, ma che non superò mai quella pericolosissima linea di confine.

Ad oggi, la Lituania continua a bloccare gli accessi terrestri all’oblast di Kaliningrad. Mosca continua ad alzare i toni, ricorrendo a soluzioni diplomatiche e minacciando di adottarne altre. Come dicevano nell’antica Roma, Historia magistra vitae: dalle lezioni del passato possiamo già prevedere cosa succederà nel futuro. Sapere che la Berlino di ieri è la Kaliningrad di oggi, o almeno pensare di saperlo, ci garantirebbe una maggior serenità e una visione più ottimista del futuro. Ma, come disse qualcun altro in tempi più recenti, dopo che Roma era stata ridotta in macerie, “L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari”.

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