Margaret Bourke-White (1895–1965) e Dorothea Lange (1904–1971), due fra le più importanti fotografe del XX secolo, sono le protagoniste della mostra che si inaugura al Centro Culturale di Milano, un viaggio nella loro opera attraverso 75 scatti in bianco e nero. Come tutti i grandi è difficile e forse inutile dare loro un’etichetta, collocarle all’interno di una tendenza, di un movimento, certo è che entrambe hanno vissuto e operato nei tornanti della storia del cosiddetto “secolo breve”. Quella degli Stati Uniti e quindi del mondo, Bourke-White, quella soprattutto americana, Lange. Entrambe hanno avuto una vita ricca di avvenimenti positivi, ma anche di difficoltà, prima fra tutte la malattia. Due personaggi straordinari che hanno apportato al mondo della fotografia la loro lezione fondamentale.
La loro forza è stata l’intelligenza visiva, la capacità di saper ricevere e quindi cogliere l’avvenimento per trasformarlo in immagine. Ognuna con prerogative e sfumature diverse. Si sono avvicinate alla vita, anche nei momenti peggiori, più complessi, con una grande forza costruttiva, tesa a documentare quanto si poneva di fronte al loro sguardo, senza tentare di stravolgere i fenomeni a favore dello scoop.
Dorothea Lange è stata, sempre, una donna di studio, abituata ad analizzare, a esaminare le situazioni prima di registrarle. Durante gli oltre quarant’anni di lavoro, di natura sociale, civile, ha stabilito con i suoi soggetti un rapporto di natura empatica, riuscendo a entrare nella profondità dei fenomeni, andando ben oltre le apparenze, tenendo sempre conto della valenza compositiva dell’immagine.
Il lavoro che ha maggiormente segnato il suo cammino è quello per la Farm Security Administration, un’agenzia del New Deal, il piano di riforme economiche e sociali promosso da Roosevelt tra il 1933 e il 1937, allo scopo di risollevare il Paese dalla grande depressione che l’aveva travolto a partire dal 1929. Roy Stryker, a capo del progetto, raccomandava ai fotografi di documentare soprattutto i lati positivi della società, perché solo in essi erano poste le possibili soluzioni per superare il terribile periodo che gli Stati Uniti stavano vivendo.
Lange osserva alla lettera il dettame del suo referente: le sue foto sono cariche di umanità, di partecipazione. I suoi protagonisti si concedono, privi di remore, allo sguardo rispettoso di chi li sta immortalando. Così con Migrant Mother, una donna di una trentina di anni, con la quale la fotografa si pone in aperto e paritetico dialogo. Al centro della sua ricerca è, infatti, sempre l’uomo. Come ha affermato lei stessa nel 1960: “Il sentimento e la sentimentalità, sono concetti difficili da gestire”.
Margaret Bourke-White, maestra del fotoreportage, non si è certo limitata a catturare degli attimi: “La mia vita e la mia carriera non hanno nulla di casuale. Tutto è stato accuratamente progettato” ha dichiarato nella sua autobiografia.
Figlia di un ingegnere, progettista di macchine per la stampa tipografica, a otto anni, Margaret visita, insieme al padre, un’acciaieria. È colpita dalla luce, dalla forza dei luoghi titanici, magnetici. “A quell’età la fonderia rappresentava per me il principio e la fine di ogni bellezza. Era tutto così intenso e vivo che finì per condizionare l’intero corso della mia carriera!”. La sua è una tensione alla ricerca della verità attraverso l’immagine fotografica. Il lavoro è protagonista delle sue fotografie così come la sofferenza dell’uomo, la povertà, la prigionia, i campi di concentramento.
Già negli anni Trenta, che in mostra vediamo documentati da una serie di fotografie vintage relative a fabbriche e a dirigibili, Bourke-White ha raggiunto il successo professionale.
In molte delle sue foto la macchina gioca un ruolo preponderante. “Con il mio entusiasmo per la macchina come oggetto di bellezza, sentivo che la storia di una nazione [l’Unione Sovietica, ndr] che cercava di industrializzarsi, praticamente da un giorno all’altro, era disegnata su misura per me. I contadini che erano stati strappati alle loro falci per lavorare in una catena di montaggio: come potevano sopportare questo salto di secoli? Nonostante il mio approccio non fosse tecnico, frequentai le fabbriche a sufficienza per capire che l’industria produce una storia, le macchine si sviluppano e gli uomini crescono insieme a loro”.
Bourke-White è stata testimone di diversi passaggi storici, in America, in Russia, in India, in Germania, alla liberazione del campo di Buchenwald.
Quando nel 1936 Henri Luce fonda Life, chiama Margaret Bourke-White, che diviene subito uno dei nomi di spicco della rivista, e segna la storia della fotografia del XX secolo. “Mi svegliavo ogni mattina pronta a ogni sorpresa che il giorno mi avrebbe portato. Amavo il passo veloce degli assignments di Life, la felicità di attraversare l’ingresso di un nuovo territorio. Tutto poteva essere conquistato. Niente era troppo difficile. E se avevi tempi stretti, tanto meglio. Dicevi di sì alla sfida e costruivi la storia”. E così è stato.
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Il Centro Culturale di Milano, in collaborazione con l’Assessorato Cultura del Comune di Milano, Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Rolla e Csac Università di Parma, Consolato degli Stati Uniti, propone la mostra fotografica “Ricevere l’avvenimento. Dorothea Lange & Margaret BourkeWhite. Donne nei tornanti della storia”. Dal 16 gennaio al 15 marzo 2020 nello spazio espositivo del Centro Culturale di Milano, Largo Corsia dei Servi 4, Milano