Il recente Meeting di Rimini ha dato un giusto rilievo alla figura di Dorothy Day, cattolica americana, di cui è in corso il processo di beatificazione. In questa occasione la Libreria Editrice Vaticana ha ripubblicato il libro autobiografico di Dorothy, Da Union Square a Roma con un nuovo titolo: Ho trovato Dio attraverso i suoi poveri, curato da Robert Ellsberg (presente al Meeting) e con una prefazione di papa Francesco. Invitato da Aic, Associazione italiana centri culturali, ho avuto anch’io l’occasione di dare un piccolo contributo per un podcast, insieme alla giornalista Giulia Galeotti, autrice di una profonda e particolareggiata biografia di Dorothy, parlando di Peter Maurin, amico e collaboratore di Dorothy Day e co-fondatore del Catholic Worker. Se Dorothy Day è ancora poco conosciuta in Italia, Peter Maurin è praticamente sconosciuto. Ed è un vero peccato, perché si tratta di una figura non meno eccezionale e, peraltro, molto diversa da Dorothy.
A lui si deve la concezione originaria di partenza del movimento Catholic Worker, mentre il suo sviluppo è merito soprattutto di Dorothy, che gli ha dato anche una propria impronta. Se di Dorothy Day è la vita a parlare (e, infatti, i suoi scritti sono autobiografici e su di lei si scrivono biografie) di Peter Maurin, più che della vita, si parla delle sue idee. Peter Maurin (1877-1949) nasce in Francia 20 anni prima di Dorothy, in una famiglia contadina di 22 fratelli, molto religiosa; recitavano il rosario e leggevano la Bibbia tutti i giorni. Studia dai Fratelli delle Scuole Cristiane dove poi rimane come insegnante fino al 1903; successivamente aderisce al Sillon, un’associazione che intendeva promuovere la presenza cattolica in campo sociale e pubblico. Dovendo decidere il suo avvenire, parte poi alla volta del Canada, a coltivare terre incolte, ma dopo una breve esperienza si trasferisce negli Stati Uniti dove, per circa 15 anni, svolge un duro lavoro da manovale in miniere, cave, trasporti fluviali, segherie. Trovata un’occupazione come insegnante di francese, un suo studente lo chiama a New York. Così si trasferisce a Temple, non lontano dalla città, dove svolge il lavoro di custode tuttofare per un campo di ragazzi gestito da un prete.
È qui che nel 1925 prende una drastica decisione: da ora in poi condurrà una vita cristiana integrale, totale, radicale. Espressione immediata di questo sarà la scelta della povertà volontaria, cui resterà fedele per tutta la vita: aveva un vestito solo, non aveva una propria stanza, quando viaggiava dormiva sulle panchine delle stazioni, spesso veniva scambiato per un barbone. Peter aveva allo stesso tempo elaborato e maturato quello che possiamo definire un programma sociale cristiano. Era convinto che il sistema economico capitalistico fosse troppo materialista e che ciò rendesse impossibile la vita cristiana per la maggior parte della gente. Era necessario per questo cambiare il sistema, e le sue proposte a riguardo avevano come riferimento i personalisti francesi (Maritain e Mounier), i distributisti inglesi (Belloc e Chesterton) e l’anarchico sociale Piotr Kropotkin, autore di Campi, fabbriche e officine.
Le grandi strutture (Stato, fabbriche, burocrazia) sono a suo parere realtà impersonali che tolgono responsabilità alle persone; occorre invece partire dal basso, dai singoli, perché la rivoluzione è personale, poi bi-personale, tri-personale e così via. Partire dal basso voleva dire partire dagli ultimi, dai poveri. Per anni Peter ha frequentato Union Square a New York (la piazza dei disoccupati, dei senza fissa dimora e degli agitatori politici) per diffondere il suo messaggio. Era sua abitudine tradurre le proprie idee in piccoli scritti (noti come Easy Essays) non più lunghi di una pagina, molto semplici, ripetitivi, spesso usando il linguaggio gergale, facilmente leggibili da persone di modesta condizione. “Parlava come uno di loro”: si era fatto povero tra i poveri, per parlare loro. Pensava che il suo messaggio non costituisse un’opinione personale, ma avesse un valore più ampio, oggettivo; per questo cercava disperatamente chi lo capisse e lo aiutasse, fino all’incontro con Dorothy Day nel dicembre 1932.
Per quell’occasione aveva già pronto un programma esemplare per tradurre in pratica le sue idee: la “chiarificazione”, cioè un ampio e insistente lavoro di diffusione delle idee, perché costituivano la base dell’iniziativa. Da qui la nascita del giornale, il Catholic Worker (venduto popolarmente a un cent, ciò che avviene tuttora dopo 90 anni); le “case di ospitalità” (l’iniziativa più nota e di maggior successo), espressione della carità cristiana, luogo di accoglienza di tutti senza alcuna discriminazione. In ogni persona era presente Cristo; le “fattorie comuni o università agricole”, quali esempi di un’economia e di un senso del lavoro lontani da quelli usuali. Molte delle affermazioni di Peter appaiono paradossali e non vanno certo prese come un programma politico: il suo grande insegnamento è che i problemi economici sociali non sono solo riservati agli specialisti, ma hanno un rilievo enorme sulla vita della gente e sulle loro concezioni, ponendo così dei grandi interrogativi alla fede.
È il problema sempre attuale del rapporto tra cristianesimo e società moderna e, rispetto ai tempi di Maurin, le questioni si sono solo aggravate. Personalmente ritengo che dal suo pensiero si possano trarre indicazioni validissime per ogni cristiano di fronte alla vita sociale di oggi o anche solo di fronte al lavoro. Le riassumerei così. Innanzitutto, il punto di partenza essenziale è la fede, una fede vissuta seriamente, come fondamento della propria esistenza e dunque anche dell’impegno politico, sociale e di lavoro. Non è possibile per un cristiano vivere questi impegni senza che alla base non ci sia la fede. In secondo luogo, occorre un pensiero robusto, adeguato ai tempi e alla situazione, che deve consentire un orientamento valido per l’azione.
È un richiamo, anche questo attualissimo, in un periodo in cui molti parlano di impegno dei cattolici in politica, ma non si vede nessuno che abbia elaborato uno straccio di pensiero per affrontare la società di oggi. Infine, occorrono proposte concrete di cambiamento, efficaci e incisive, che consentano di tradurre nella pratica ciò che scaturisce dalla fede e dagli orientamenti maturati. Oggi a volte ci sono delle proposte (poche) ma è debole il loro fondamento.
Per concludere, gli scritti di Peter Maurin, gli Easy Essays, meriterebbero di essere tradotti e conosciuti: è un raro tentativo di presentare problemi complessi in forma comprensibile ai poveri. Si tratta di un unicum. Speriamo che un editore coraggioso voglia sfidare un ambiente impreparato, proprio perché domani possa essere più preparato.
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