Viviamo nel mondo del mancato ascolto, personale e sociale. Del dialogo si occupa Giovanni Scarafile ne “La spina nella carne”
Dialogare veramente non è facile, perché significa esporsi alla realtà sempre imprevedibile dell’altro e accettare di cambiare sé stessi. Richiede, perciò, la virtù del coraggio. Si direbbe che sia ancora più difficile oggi a motivo della maggiore fragilità psicologica delle persone e delle identità che esse assumono come corazze per difendersi. Si è spesso arroccati in un atteggiamento difensivo di fronte all’altro perché si sperimenta o si teme di non essere compresi. A ciò consegue il dolore del mancato ascolto.
Giovanni Scarafile chiama questo particolare dolore inaudalgia relazionale (La spina nella carne. Cinque lezioni sul dialogo, Yod Institute 2024). Il suo libro suggerisce che per poter avviare un dialogo autentico occorre innanzitutto riconoscere la propria vulnerabilità.
A differenza dell’homo patiens che la riconosce, l’homo muniens, che si difende, non è solo colui che “respinge o nega l’esistenza di qualunque vulnerabilità; è piuttosto un individuo che attraverso un processo sistematico e prolungato, ha trasformato la propria modalità di percepire, elaborare e rapportarsi con il mondo”. Si tratta di un indurimento del proprio sé e della propria visione dell’altro al fine di non essere feriti dagli avvenimenti.
Ma soltanto chi riconosce la propria fragilità e vulnerabilità, chi non si difende oltremisura, è capace di dialogare veramente con l’altro, mettendosi nei suoi panni, avviando un processo in cui s’impara a vicenda: “Incontrarsi oltre i limiti delle proprie difese personali e dei preconcetti, accogliere la vulnerabilità umana non è solo un atto di coraggio, è la chiave per sbloccare dialoghi veramente autentici e trasformativi”.
E si sottolinea ancora che “individui che adottano un approccio sereno nei confronti della propria vulnerabilità tendono a sviluppare legami più autentici e significativi, poiché permettono una trasparenza emotiva che facilita la comprensione reciproca (…). In contesti dialogici gli individui predisposti all’accettazione del fallimento s’impegnano a mantenere una comunicazione aperta, che valorizza la reciprocità e l’esplorazione delle idee divergenti. La predisposizione a considerare il fallimento come un aspetto intrinseco del processo di apprendimento e di crescita personale si traduce in un atteggiamento di ricerca e di sperimentazione anche nella comunicazione, rendendo il dialogo uno strumento di scoperta continua”.
Nelle sue lezioni sul dialogo Giovanni Scarafile si richiama a temi trattati da molti autori classici come Schopenhauer, Grice, Apel e, in particolare, all’esperienza elementare di cui scrive Luigi Giussani in diverse opere.
Si tratta di quelle esigenze ed evidenze originali (di felicità, di verità, di giustizia), coincidenti con ciò che egli chiama “cuore”, le quali permettono al singolo di vagliare l’esperienza che fa della realtà: “Essa ci permette di ritrovare quelle radici comuni dell’esistenza che trascendono le differenze superficiali e ci legano profondamente gli uni agli altri. Solo questo livello scevro di sovrastrutture ideologiche rende possibile il dialogo autentico”. Proprio grazie ad essa è possibile riconoscere quella vulnerabilità che ci accomuna tutti in quanto umani.
Alla base del dialogo, quindi, c’è l’accettazione della realtà, in particolare della realtà propria e altrui. E questo richiede le virtù del coraggio e della pazienza. Ma aggiungerei che si può essere pazienti e forti soltanto all’interno di una relazione con qualcuno o con alcuni in cui ci si sente radicalmente accettati. Se si assume questo atteggiamento di coraggiosa inermità di fronte al reale, può succedere di scoprire con sorpresa che il dialogo è possibile anche negli ambienti apparentemente più difficili e ideologizzati.
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