Situazione sempre più tragica nelle carceri italiane. Suicidi, violenza ma anche richieste di morte: un detenuto in attesa di giudizio, disperato, ha chiesto allo Stato di aiutarlo a togliersi la vita. Il Giornale racconta la tragica richiesta di suicidio assistito depositata all’Asl e all’Associazione Luca Coscioni da Nazareno Calajò, boss della mala milanese, malato e senza una gamba e sotto sorveglianza speciale a Opera. “Sono curato (male) al centro clinico e non posso suicidarmi perché guardato a vista. Chiedo il suicidio assistito” scrive nella sua lettera.
“La mia condizione ormai è divenuta penosa, irreversibile. La mia esistenza è ancora più insopportabile per la mia situazione giudiziaria” fa sapere Calajò tramite il suo legale Marco de Giorgio, che rende note le sue volontà. “Questo Stato che mi tiene in prigione mi impedisce di sottrarmi alla tortura di vivere sulla sedia a rotelle, limitato nella mia autonomia perché ormai dimezzato nel corpo, ed annientato nello spirito” prosegue il detenuto in regime di alta vigilanza speciale.
Il boss Calajò “stanco ed esasperato” in carcere chiede il suicidio
I coindagati del boss Nazareno Calajò sono tutti fuori o ai domiciliari, lui e i figli no. “Sono stanco ed esasperato di apprendere dal Fatto quotidiano quali saranno le nuove imputazioni che mi verranno accollate, persino prima che siano rese pubbliche ed a conoscenza mia e dei miei legali” afferma ancora il boss tramite l’avvocato. Il riferimento è alle indiscrezioni che circolano ormai da tempo riguardo i reati di droga: secondo la Procura di Milano e l’Antimafia, Calajò non può non sapere chi ci sia dietro ad alcune vicende criminali come l’assassinio di Paolo Salvaggio nel 2022 o quello di Vittorio Boiocchi, capo ultras dell’Inter ucciso con cinque colpi a fine ottobre 2022.
Da settimane ormai sul Fatto Quotidiano trapelano indiscrezioni e suggestioni sul suo possibile ruolo e così anche su eventuali inasprimenti della pena. Per il boss milanese quelle notizie sono “false e pilotate” ed è giusto chiedersi chi sia “il corvo che la legge non persegue”. Ci si chiede però se sia giusto questo rapporto tra cronisti e Procure, che crea danni alla storia processuale ormai da tempo, sottolinea Il Giornale. Una storia, quella del boss milanese, che pone una volta l’accento sulla condizione carceraria, con una percentuale di suicidi tra le sbarre che ha raggiunto livelli record.