Luciano Moggi vittima di Luca Palamara. L’ex dirigente della Juventus, nella sua rubrica personale che cura per Libero, ha parlato delle intercettazioni riguardanti il magistrato, un caso del quale si è a lungo discusso nelle ultime settimane e che ha avuto grande clamore sulla stampa. Moggi ha fatto riferimento al post di Twitter con il quale il diretto interessato si è sostanzialmente rammaricato per quanto fatto, e poi ha citato l’intervento dello stesso Palamara a Non è l’Arena, programma condotto da Massimo Giletti. In questa comparsata televisiva, il magistrato ha rivelato come la sua fama sia nata con il processo Gea-Calciopoli. L’ex dirigente ha ricordato di come Palamara si muovesse “interessandosi anche alla politica nazionale” e che sia troppo tardi per considerarsi un pentito, visto che “quando uno nasce quadro non può morire tondo, tant’è che il nostro sostiene di non aver niente di cui vergognarsi”.
LUCIANO MOGGI CONTRO PALAMARA
Luciano Moggi, nel suo editoriale, sostiene di non potersi dimenticare dell’astio che percepiva nella persona di Luca Palamara, “quella voglia matta di stravolgere la carriera di chi al calcio aveva dedicato una vita, quasi a voler dimostrare che il più forte era lui”. Continua, Moggi, dicendo che Palamara era ancora un pm sconosciuto quando era in corso il processo Gea e lui era uno sconosciuto, ma adesso si tratta sostanzialmente di fare due più due e, guardando agli avvenimenti che stanno coinvolgendo il magistrato, non può che sospettare che “nella sua indagine non avesse mancato di considerare che mettere sotto processo il calcio gli avrebbe garantito una straordinaria visibilità”. Dice anche, l’ex dirigente della Juventus, che nel processo Gea furono coinvolti anche ragazzini che avevano la sola colpa di essere figli di padri celebri, che non avrebbero potuto “delinquere, fare violenza privata ed estorcere”.
Moggi ha anche detto che, nonostante le accuse a suo carico fossero state respinte nel processo Gea – infatti fu indagato per gli arbitri – la sua presenza garantì la spettacolarizzazione del giudizio; e Palamara fu proiettato “nell’Olimpo dei magistrati, fino a farlo diventare presidente dell’Anm”. Dunque una sorta di missione compiuta attraverso quel processo, secondo la descrizione e il ricordo di Moggi, che alla fine sostiene di aver sempre avuto fiducia nella giustizia e alla fine dice di avere un consiglio per lo stesso Palamara. “Contrapporsi a ciò che ci fa fare la vita porta danni collaterali spesso devastanti” dice oggi l’ex dirigente, che sostiene come sia proprio quello che in questo momento sta succedendo al magistrato.