Come Luigi Ilardo si è infiltrato in Cosa Nostra: l'ex boss che tentò di consegnare Provenzano ai ROS. Ecco la sua storia a "Cose Nostre"
COSE NOSTRE RACCONTA L’INFILTRAZIONE DI LUIGI ILARDO NELLA MAFIA SICILIANA
La storia di Luigi Ilardo è stata narrata e presentata in tv molte volte eppure rappresenta una delle vicende umane e giudiziarie più intricate e meno conosciute della lunga storia di antimafia in Italia: anche perché il protagonista era stato a sua volta un boss di Cosa Nostra e, in maniera meno “pubblica” di Tommaso Buscetta, decise ad un certo punto di collaborare con la giustizia infiltrandosi per conto dei ROS.
È il programma si Rai 1 “Cose Nostre” che racconterà questa sera dalle 23.40 in poi la vicenda di Ilardo e del suo “secondo” ingresso nella mafia nei primi anni Novanta, firmando di fatto la sua condanna a morte visto che i boss siciliani decisero di freddarlo nel triste 10 maggio 1996 a Catania.

Nella puntata “Doppio Inganno”, il programma Cose Nostre ripercorre l’intera esistenza dell’ex boss che contribuì con le sue informazioni da infiltrato a catturare, anni dopo, il latitante Bernardo Provenzano con cui lo stesso Ilardo aveva rapporti epistolari piuttosto stretti (come riconosciuto dai giudici della Cassazione nella condanna dei mandanti dell’omicidio a Catania, che vide l’ergastolo a Giuseppe Madonia e Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro (organizzatore) e Orazio Benedetto Concimano (esecutore).
Per due anni Ilardo riuscì a passare preziose informazioni al colonnello Michele Riccio dei ROS (col nome in codice di “Bruno”) prima che Cosa Nostra si accorse che qualcosa non andava e decise di ucciderlo con un agguato in pieno stile mafioso. Nella puntata odierna sono l’ex agente della DIA Mario Ravidà assieme al pm Pasquale Pacifico – che poi materialmente riuscì ad ottenere la condanna dei mandanti – a raccontare di come Ilardo seppe infiltrarsi e in qualche modo redimersi dopo un passato criminale e violento.
“COLLABORO COME MONITO AI RAGAZZI: NON FATE COME ME!”
«Ho deciso di collaborare dopo essermi reso conto di quello che ho perduto lontano dai miei figli»: queste le famose parole con cui Luigi Ilardo raccontava la sua decisione di collaborare con lo Stato italiano, in particolare con il colonnello Riccio, per provare a smontare l’assunto per cui molto giovani in Sicilia per poter vivere dignitosamente avrebbero dovuto entrare nelle organizzazioni mafiose.
E proprio come “monito” ai giovani la sua attività di infiltrato percorre gli ultimi due anni di vita di Luigi Ilardo: gestendo le attività da vice responsabile provinciale di Cosa Nostra nel suo territorio, il confidente dei ROS in realtà passava informazioni preziose utili per l’arresto di alcuni latitanti delle cosche di Gela e Caltanissetta, consentendo una larga indagine sulle attività criminali in essere.
In quella che fu una vera e propria “trattativa” tra lo Stato e l’ex boss di mafia, Ilardo probabilmente venne tradito da una potenziale talpa interna alle indagini, anche se prove in tal senso non emersero mai con chiarezza: con elementi in chiaroscuro come quando spiegò che molti delitti di Cosa Nostra in realtà sarebbero stati commissionati dallo Stato, l’opera di Ilardo viene oggi raccontata nel dettaglio fin dai momenti iniziali dell’infiltrazione, proseguendo poi con l’avanzare della sua “collaborazione”.
Ilardo sebbene non riuscì a portare l’arresto vero e proprio di Provenzano (l’arrivo nel covo non sorprese il latitante che dopo aver “mangiato la foglia” si era già dato alla fuga) contribuì’ a diversi altri arresti, e appena pochi giorni prima l’ingresso nel programma di protezione testimoni dei ROS venne freddato a Catania da una «soffiata istituzionale», come si sancisce nella sentenza sui mandanti dell’omicidio.
