Zingaretti ha convocato d’urgenza per oggi una segreteria che non era prevista. Del resto la situazione – forse per la prima volta da quando lui è segretario del Pd – sta velocemente evolvendo verso scenari realmente imprevedibili. Zingaretti, appena letto la sua relazione per un “vasto programma” davanti all’assemblea nazionale dei quadri del partito, si è reso conto di non avere in realtà tempo a sufficienza per programmare alcunché. Proprio ora che voleva mettere mano al duro lavoro per rivoluzionare il Pd!
Purtroppo non c’è più tempo. È il bello della politica, l’assoluta non prevedibilità degli eventi. È quello che i generali di una volta temevano come la peggiore delle condizioni possibili, non poter scegliere il “campo di battaglia”.
Eppure davanti al segretario del Pd si sta aprendo una possibilità davvero insperata. Il Russiagate – che sta mettendo alle corde Salvini – sembra essere il classico granello in grado di inceppare quella che fino a qualche giorno fa appariva l’inarrestabile macchina da guerra leghista. Ancora una volta una storiaccia di tangenti, come sempre non capiremo mai, davvero fino in fondo, tirata fuori da chi e perché.
Certo è che Matteo Salvini sembra ora aver accusato il colpo e ancor più dei suoi tradizionali nemici sembra temere quelli che dovrebbero essere i suoi alleati.
Paga sicuramente l’arroganza con cui ha trattato – lui e il suo cerchio magico – la squadra grillina al governo, soprattutto l’aver sfidato l’alleato nella leadership, per quanto precaria, di Conte, arrivando a convocare le parti sociali al Viminale e farsi trovare in compagnia di Siri.
Zingaretti sa bene che ogni scenario di crisi di governo coinvolgerà il Pd e ad esso sarà chiesto di essere responsabile e coraggioso al tempo stesso.
Fino a qualche giorno fa lo scenario di elezioni anticipate era da ritenersi un regalo alla Lega e a Salvini. Poteva rivelarsi utile al Pd per bastonare i 5 Stelle e ridurli ad una forza ridimensionata nei numeri e soprattutto nel morale. Ma il governo sarebbe andato inevitabilmente al centro-destra.
Oggi la partita si è improvvisamente riaperta e va condotta con intelligenza. Probabilmente – come sempre negli ultimi 10 anni – sotto la guida della Presidenza della Repubblica. Che non sembra volersi lasciare sfuggire la possibilità di assestare un colpo alla forza che più di ogni altra ha spinto l’Italia ai margini della politica europea.
Insomma, pur tenendo ferma la richiesta delle elezioni anticipate, minaccia utile prima ancora che per gli altri a tenere buoni il grosso dei peones filo-renziani, Zingaretti deve essere pronto a cogliere ogni spazio tattico offerto dalla situazione.
La domanda, brutalmente, è la seguente: gli elettori di sinistra hanno sufficientemente apprezzato il pericolo insito nella linea di Salvini al punto tale di prendere in considerazione come il male minore un’alleanza con i 5 Stelle, o vige ancora il potere di veto del senatore di Firenze – sostenuto dall’agguerrita falange dei #senzadime – che solo 12 mesi fa impedì ogni possibilità di dialogo?
È la prima vera decisione che il nuovo leader dovrà assumere. Per come è fatto, Zingaretti ascolterà tutti i big che lo hanno sostenuto. Ma cercherà di capire soprattutto cosa pensa davvero il popolo di sinistra che gli ha consegnato tale responsabilità.
Zingaretti dovrebbe volgere a suo favore la politica del “contratto”. Nessuno gli chiederà di stringere un accordo strategico con i 5 Stelle e nessuno lo spingerà ad incamminarsi per gli impervi sentieri di un accordo politico-istituzionale.
Un “contratto” per sua natura ha delle regole molto semplici. Cose da fare e cose da non fare. Quello che non c’è nel contratto non si fa, quello che si scrive si rispetta e si realizza. Sarà in quel caso proprio l’alchimia tra le cose che si potranno fare e quelle che finalmente verranno cancellate dall’agenda politica del Paese che darà la possibilità al popolo di sinistra di tirare un sospiro di sollievo, e al nuovo leader di portare a casa un primo insperato successo.