I martiri della Cambogia siano un esempio di pace per la Chiesa: l'invito di monsignor Schmitthaeusler a 50 anni dal genocidio di Pol Pot

Si è celebrata in questi giorni – precisamente domenica scorsa – la festa di Cristo Re che in questo 2025 è stata particolarmente importante per la Cambogia, cadendo in concomitanza con le commemorazioni per il 50esimo anniversario della strage che fu compiuta dal regime dei Khmer Rossi e – in particolare – dal sanguinario Pol Pot, artefice (secondo alcune stime mai veramente confermate) dell’uccisione di circa 2 milioni di cambogiani nell’arco di appena quattro anni; tutto condito da una durissima repressione delle pratiche religiose – non solo cattoliche – durata dal 1970 al 1977.



Proprio per commemorare il genocidio cambogiano – così è passato alla storia il durissimo periodo della dittatura di Pol Pot tra il 1975 e il 1979 -, domenica il vescovo di Phnom Penh Olivier Schmitthaeusler ha accolto migliaia di pellegrini a Tangkok con un lungo discorso che voleva essere innanzitutto un invito alla riflessione su quanto accaduto solamente 50 anni fa, per trarre insegnamenti oggi più che mai importanti per tutta la Chiesa.



Monsignor Schmitthaeusler: “Il sacrificio dei martiri della Cambogia sia una lezione di pace”

Monsignor Schmitthaeusler, infatti, ha ricordato innanzitutto che dal “sangue dei martiri” è nata la Chiesa e da quello dei martiri della Cambogia “è risorta”: sono, infatti, passati solamente 50 anni da quando gli allora esponenti cattolici, in quello stesso punto di Tangkok, a due passi dai “campi di lavoro forzato” del regime comunista di Pol Pot, “celebravano l’Eucaristia in segreto“, affidandosi alla Parola di Dio pur sapendo che “era proibita” e che gli sarebbe potuta costare la vita.



Pol Pot (Foto: web)

Dal sacrificio di due milioni di cambogiani – ha proseguito monsignor Schmitthaeusler – la Chiesa “è stata in grado di rinascere” con un grido e un canto che oggi hanno un “sapore dolcissimo” e che devono essere d’ispirazione per l’intera Chiesa di Roma: non a caso, il vescovo ha voluto ricordare che le prime parole del nuovo pontefice – Papa Leone XIV – sono state “Pace a voi” e che il tema della “speranze” è al centro dell’anno del Giubileo che sta giungendo al termine.

Un’ispirazione – ha proseguito il vescovo – che deve essere tratta anche (e forse soprattutto) dai tanti che stanno pagando il durissimo costo delle tensioni tra Cambogia e Thailandia che negli ultimi mesi si sono intensificate, facendo sì che la speranza si traduca “in azione” e spinga i fedeli tutti e la Chiesa in quanto istituzione a essere “artefice di pace” sia “nei fatti” che “nella verità”; perseguendo sempre quell’imprescindibile “dialogo [e] rispetto del prossimo” che lo stesso Gesù predicava più di 2mila anni fa.