L’Italia non ha adottato il Media Freedom Act (MFA) e per questo sarebbe sotto procedura di infrazione UE. Un problema passato in sordina. O quasi

Da ieri l’Italia è virtualmente sotto procedura d’infrazione UE per la mancata adozione del Media Freedom Act, la legge “per la libertà e l’indipendenza della stampa” varata dal precedente europarlamento agli sgoccioli del suo mandato.

Forse anche per questo – perché l’assemblea di Strasburgo ha cambiato non poco fisionomia politica dopo l’eurovoto 2024 – la scadenza per l’applicazione del MFA sta passando in un clima di indifferenza. Non solo in Italia, che non è certo l’unico Paese membro ritenuto “not compliant” con un testo che appare soprattutto un coacervo di affermazioni di principio. Un provvedimento astratto, anzitutto rispetto alle dimensioni e ai ritmi di una rivoluzione tecnologica di fronte alla quale la UE appare infatti marginale e impotente.



Alcuni think tank schierati con la sinistra moderata o radicale insistono nel collocare l’Italia in un solo fascio con i Paesi dell’Est europeo (Ungheria, Bulgaria, Romania, Slovacchia etc.) tutti giudicati in deriva neo-statalista/illiberale proprio nel campo dell’informazione.

Altri, più attenti alla realtà dei mercati nazionali, affiancano l’Italia a Paesi come Francia, Olanda, Spagna e Svezia, caratterizzati da un’alta concentrazione proprietaria – privata – nella media-industry. Né manca chi punta il dito – sull’Italia assai meno che su Paesi come Francia e Germania – su fronti specifici, come ad esempio la libertà e la sicurezza dei giornalisti che nell’ultimo anno hanno seguito le manifestazioni di protesta contro Israele, spesso represse dalle forze dell’ordine.



L’essenza sfuggente del MFA ha spinto comunque Politico.eu – testata di punta nell’europeismo tecnocratico e ideologico – a unirsi al coro dei pessimisti sulla reale portata della norma: confermandone – implicitamente – la natura di manifesto ideologico strumentale alla lotta politica, non di veicolo regolatorio di effettivo riformismo civile.

Indipendenza dal potere politico, trasparenza finanziaria e protezione dei giornalisti da ogni pressione esterna restano quindi “brevi cenni sull’universo”, in una para-normativa entrata in vigore solo un mese prima che la maggioranza “europeista” all’europarlamento cessasse di essere tale. Senza per questo cessare di agitare il tema della libertà di stampa contro le forze politiche premiate dagli elettori, in Europa e in tutti i suoi grandi Paesi membri.



In Italia la scadenza MFA è stata varcata in sordina salvo che per alcuni specifici riflessi di politica interna. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, vi ha fatto cenno canonico nella tradizionale “cerimonia del ventaglio” con i giornalisti italiani. Ma lui stesso ha orientato la riflessione di sponda su una questione specifica: la lunga vacatio della presidenza Rai e la necessità di aggiornare la regulation riguardante la tv di Stato.

Il rafforzamento dei presìdi legali e statutari contro l’ingerenza della politica negli organi d’informazione a controllo pubblico è certamente un caposaldo di MFA, ma non è l’unico. La libertà di stampa e l’autonomia dei giornalisti a tutela della democrazia vengono sollecitate indifferentemente a tutti gli editori: quindi, oggi, anzitutto a quelli privati.

E l’appello perentorio ai governi non li interpella solo in quanto editori diretti, ma anche – forse soprattutto – in quanto regolatori nazionali dell’intero settore dell’informazione all’interno delle cornici stabilite dalla UE.

Se il Quirinale “dem” ha colto l’occasione per punzecchiare la maggioranza di destra-centro alle prese con la Rai – dopo decenni di egemonia del centrosinistra –, sui grandi media non statali il passaggio è stato pressoché ignorato.

Più spazio è stato dato al via libera del board di ProsiebenSat1 all’Opa lanciata da MFE (la holding televisiva europea di Fininvest). E nelle corrispondenze dalla Germania uno spazio solo laterale è stato riservato al warning giunto da Wolfram Weimer, ministro della Cultura del gabinetto Merz.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Cancelliere tedesco Friedrich Merz (Foto 2025 ANSA/ANGELO CARCONI)

Weimer (CDU di euro-ortodossia PPE, quindi parente politico di primo grado con gli europarlamentari italiani di FI) si è detto preoccupato delle potenziali “interferenze russe” nel mercato dell’informazione tedesca. Non ha in ogni caso fatto cenno specifico al rafforzamento strategico in Germania del duopolista della tv commerciale italiana (con la tv di Stato), direttamente impegnato in politica con un partito oggi partner della maggioranza di governo. E se dei rischi di conflitti d’interesse fra media, finanza e politica non si preoccupa un ministro tedesco dello stesso partito di Ursula von der Leyen, perché dovrebbe essere tema di dibattito in Italia?

Sulla Rai è in discussione alle Camere un disegno di legge presentato dalla maggioranza. La democrazia parlamentare italiana farà il suo corso.

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