I medici cubani impiegati in Calabria lamentano forme di controllo capillare da parte di Cuba. All'Avana il metodo è noto. Anche in Italia?

Per la prima volta, alcuni medici cubani che hanno abbandonato la controversa missione medica in Italia hanno deciso di rompere il silenzio. Parlando sotto condizione di anonimato per paura di rappresaglie – inclusa la possibilità di essere esclusi dall’esercizio della professione – denunciano un sistema di sorveglianza costante e i gravi rischi che corrono coloro che tentano di lasciare un programma a lungo presentato come aiuto umanitario.



Secondo quanto accertato, almeno dodici medici avrebbero lasciato la Comercializadora de Servicios Médicos Cubanos S.A. (CSMC), la società statale cubana che, secondo un’inchiesta del media indipendente CubaNet, controlla e trae profitto dalle brigate mediche dell’isola in Italia. Il numero più alto di defezioni si registra a Cosenza (7) e Vibo Valentia (3), seguite da Catanzaro (2).



Il 1° settembre il Comitato per la tutela della salute di Polistena (RC) ha denunciato quella che definisce la trasformazione della “cooperazione internazionale” in sfruttamento e ipocrisia istituzionale, chiedendo risposte immediate e trasparenti al presidente della Regione Roberto Occhiuto, firmatario dell’accordo con i medici cubani.

In un comunicato diffuso su Facebook, la portavoce del Comitato, Marisa Valensise, ha segnalato la partenza di un ortopedico cubano che si era integrato nella comunità locale, ma che ha deciso di lasciare la missione a causa del basso stipendio (appena 1.200 euro al mese) e delle difficili condizioni di lavoro. “Questa non è più cooperazione, è sfruttamento”, si legge nel comunicato, che sollecita Occhiuto a chiarire i motivi per cui i medici cubani stanno abbandonando la Calabria e perché professionisti che salvano vite vengono trattati “come manodopera usa e getta”.



In questa occasione, due medici fuggitivi e due membri ancora attivi nella brigata medica offrono rari dettagli sui principali motivi che spingono alla fuga.

In un’intervista esclusiva a CubaNet e Il Sussidiario, un medico cubano scappato dalla missione del CSMC che ora lavora in modo indipendente ha descritto come L’Avana utilizzi i titoli professionali come arma di controllo: “Ti ricattano con i tuoi diplomi. Se un dottore diserta, le autorità del ministero della Sanità [cubano, ndr] trattengono i documenti”.

Senza quei titoli, i medici non possono vedersi convalidate le loro competenze in Italia. Questo spiega perché la grande maggioranza rimane vincolata alla missione, i responsabili della quale conservano i fascicoli professionali. Lo conferma un secondo medico fuggito che è riuscito ad aggirare il veto del CSMC: “Quando diserti, ti mettono sulla lista nera. In Italia ti servono i documenti, ma devono prima essere validati a L’Avana”.

Le restrizioni non riguardano solo l’Italia. Anche in Spagna alcuni medici cubani hanno denunciato di essere stati privati del riconoscimento professionale, secondo quanto riportato da The Objective. La pratica riflette una politica più ampia e di vecchia data con cui Cuba vieta formalmente la legalizzazione dei titoli accademici e lavorativi dei professionisti della salute.

“Non ci sono alternative. O stai con loro, oppure ti rassegni alla vita miserabile di un medico a Cuba. Sempre con il solito discorso logoro che ‘la Rivoluzione ti ha fatto diventare medico’, come se fosse una giustificazione per restare schiavo per sempre – sì, per sempre. Perché scegliere un’altra strada viene bollato come tradimento verso la patria, punito con otto anni di divieto di entrare nel tuo stesso Paese”, ha raccontato un altro medico della missione, riferendosi al trattamento riservato dal regime ai cosiddetti “disertori”.

Il timore riguarda anche chi rimane. Se un medico ancora a Cuba chiede i propri documenti professionali, ciò viene interpretato come segnale di fuga; lo stesso vale per chi è in missione, con il rischio di immediata cancellazione del contratto.

“La missione funziona sotto un sistema di osservazione costante. Anche in Europa non siamo liberi. È vergognoso che in un continente dove prevale la democrazia questo non venga fermato”, ha lamentato il primo medico intervistato.

I medici in Calabria raccontano che, sebbene abbiano già consegnato i documenti per lavorare negli ospedali regionali, non possono accedervi direttamente per cercare un impiego alternativo. “Non esiste un modo per recuperare i documenti custoditi dall’Azienda”, ha spiegato. Tutti i medici intervistati hanno riferito di temere la stretta collaborazione tra l’autorità sanitaria locale e il capo missione Luis Enrique Pérez Ulloa, che è anche rappresentante del CSMC in Italia.

“Potrebbero revocarmi il contratto se Luis Enrique mi accusasse di qualche forma di indisciplina”, ha ammesso un membro della missione. Sebbene l’Accordo Quadro Italia-Cuba stabilisca formalmente che i contratti siano firmati tra il medico e la Regione Calabria, nella pratica esso conferisce a L’Avana il potere di dichiarare un lavoratore “inadatto”. In tal caso, l’Italia è obbligata ad agire, concedendo di fatto alla missione il potere di veto sull’impiego, inclusa la possibilità di escludere un medico dalla professione.

Il timore è diffuso. “Il terrore di essere rimandati in patria è forse il più grande di tutti”, ha confessato la prima fonte.

Una volta rientrati a Cuba, lo status di “regulado” impedisce inoltre ai medici licenziati di lasciare nuovamente il Paese. Per trattenere i professionisti, il governo si appoggia all’Articolo 97 della nuova Legge migratoria, che limita l’emigrazione dei lavoratori altamente qualificati.

Mascherine in ospedale (Ansa)

La legge italiana garantisce ai medici stranieri diritti come il ricongiungimento familiare, ma la missione cubana li aggira con proprie regole. Il 4 gennaio 2025 Pérez Ulloa ha diffuso la Circolare n. 31, che impone l’autorizzazione preventiva per le visite dei familiari e minaccia sanzioni disciplinari. Basate sulla Risoluzione 368/2020 di Cuba, queste disposizioni scavalcano le tutele italiane e mantengono i medici sotto stretto controllo.

Non è chiaro se le autorità italiane abbiano ignorato o tollerato tali pratiche. Sia Il Sussidiario che CubaNet hanno cercato di contattare avvocati esperti di diritto del lavoro; tuttavia, coloro che hanno risposto alla richiesta non hanno accettato di commentare, facendo riferimento alla “delicatezza del tema”.

Intanto il modello si espande. La scorsa settimana il Molise ha annunciato l’intenzione di assumere medici cubani seguendo l’esempio della Calabria. “Vuol dire che l’Italia sta ignorando quello che accade”, ha dichiarato un medico cubano a CubaNet.

Un secondo membro della missione, intervistato per questo articolo, ha reagito duramente: “Vedere la foto del capo missione con il presidente della Regione Molise è oltraggioso, perché lui serve gli interessi della dittatura”.

Nella regione Veneto, disposizioni d’emergenza prorogate fino al 2027 consentono ora di assumere medici stranieri con titoli non riconosciuti. La decisione è arrivata in seguito ad un evento di alto profilo tenutosi a maggio, alla presenza dell’ambasciatrice cubana Mirta Granda Averhoff e di rappresentanti del CSMC, in cui la consigliera regionale Erika Baldin (M5s) ha elogiato l’accordo calabrese come modello per risolvere la carenza di personale — ripetendo i punti propagandistici cubani sull’aiuto umanitario, il basso costo e la disponibilità immediata, evitando però i temi dello sfruttamento del lavoro e delle violazioni dei diritti umani. In questo contesto, i medici cubani non sono semplicemente forza lavoro straniera: sono diventati uno strumento politico inserito in un modello di governance che molti in Calabria oggi mettono in discussione.

Nelle sei settimane trascorse dalla pubblicazione da parte di CubaNet dell’inchiesta Da L’Avana alla Calabria: la truffa perfetta contro i medici cubani, un effetto domino mediatico, politico e giudiziario ha scosso l’Italia. Le rivelazioni hanno provocato interpellanze parlamentari, risposte ufficiali delle autorità locali, richieste di vigilanza e persino un’indagine di polizia; tutto questo all’interno di un più ampio scandalo di corruzione che ha portato, a fine luglio, alle dimissioni del presidente della Regione Calabria e principale promotore dell’accordo Italia-Cuba, Roberto Occhiuto.

Sebbene gli intervistati riconoscano che la propaganda cubana “manipola tutto con la narrativa dell’imperialismo USA e del bloqueo, che può risultare persuasiva per alcuni”, le testimonianze dei medici in fuga parlano chiaro.

“Ho lasciato per come funzionano queste missioni. L’unica via d’uscita è abbandonarla”, ha detto un medico, ammettendo che, nonostante la sorveglianza e i controlli rigidi, questi programmi offrono vie di fuga e mezzi per sostenere le famiglie. La libertà, sottolinea, è ciò che apprezza di più dopo la fuga: “Avere il controllo di me stesso, delle mie decisioni – giuste o sbagliate – è questo che significa libertà”.

Nel frattempo, altri iniziano a muovere i primi passi verso la libertà. “Ho preso la mia decisione. La libertà ha un prezzo. Alcuni lo pagano con il sangue, io lo pago con gli anni: otto anni senza poter tornare nel mio Paese. E sai che c’è? Mi sento in pace”.

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