Scrive Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere: “Tutti i precedenti crimini dell’Impero russo sono stati compiuti al riparo di un’ombra discreta. La deportazione di mezzo milione di lituani, l’assassinio di centinaia di migliaia di polacchi, la liquidazione dei tatari di Crimea, tutto ciò è rimasto nella memoria senza documenti fotografici e quindi, in fondo, come qualcosa di indimostrabile che, prima o poi, sarà fatto passare per una mistificazione. Invece l’invasione della Cecoslovacchia del 1968 è stata fotografata e filmata e depositata negli archivi di tutto il mondo. I fotografi e gli operatori cechi capirono che proprio loro potevano fare l’unica cosa che si potesse ancora fare: conservare per un lontano futuro l’immagine di una violenza. […] I russi non sapevano che fare. Avevano ricevuto precise istruzioni su come comportarsi se qualcuno avesse sparato contro di loro o gettato delle pietre, ma nessuno aveva dato ordini su come reagire se qualcuno avesse puntato su di loro l’obiettivo di una macchina fotografica”.
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Il futuro lontano prefigurato da Kundera è il nostro presente, che offre purtroppo drammatiche analogie con gli avvenimenti praghesi. La storia sembra tragicamente ripetersi con macabra monotonia, a ricordarci che il male dell’uomo è sempre presente. Le immagini della mostra La primavera impossibile. Praga 1968, ospitata in questi giorni al Meeting di Rimini, non si limitano però a “riproporre l’immagine di una violenza”, ma intendono testimoniare come dentro la violenza, dentro la sopraffazione e l’ingiustizia sia possibile per l’uomo l’affermazione di un positivo, di uno sguardo sulla realtà e sugli altri uomini che va al di là della circostanza per cogliere nell’istante il frammento di eterno che esso contiene. Intorno al perno, costituito da un’ideale ricostruzione di piazza San Venceslao, che fu allora il cuore della resistenza, le sezioni della mostra ripercorrono gli avvenimenti della settimana fra il 20 e il 27 agosto, che posero fine al tentativo di conciliare una esperienza politica di tipo marxista con la possibilità di una vita rispettosa della dignità e della verità dell’uomo.
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Ad ogni giorno è associato un tema, dai carri armati simbolo della violenza sovietica all’impossibile dialogo fra occupanti e invasori, alla tenace difesa della libertà di parola attuata con cartelli, striscioni, vignette, fogli ciclostilati, sino all’estremo gesto di rivolta che fu il sacrificio di Jan Palach, lo studente che si bruciò vivo in Piazza San Venceslao per opporsi al silenzio che dopo pochi mesi aveva sepolto nella coscienza di troppi l’invasione e la repressione. La mostra è corredata da un video che offre immagini pressoché inedite sugli avvenimenti che precedettero l’invasione e sugli scontri dell’Agosto, oltre a una sconvolgente intervista a Jan Palach sul letto d’ospedale.