MEETING 30/ Padre Gheddo: un incontro di popolo che rinnova la Chiesa
Apre oggi i battenti a Rimini la trentesima edizione del Meeting. Trent’anni di storia, di incontri, di presenza cristiana che, come spiega Padre PIERO GHEDDO, hanno contribuito a rinnovare la Chiesa

Apre oggi i battenti a Rimini la trentesima edizione del Meeting per l’amicizia dei popoli. Trent’anni di storia, di incontri, di presenza cristiana che, come spiega a ilsussidiario.net Padre Piero Gheddo, famoso sacerdote del Pime, hanno contribuito a rinnovare la Chiesa.
Padre Gheddo, lei è stato più volte al Meeting di Rimini. Che ricordi e che impressioni ne ha?
Ricordo la prima volta che sono venuto nel 1982, quando vi ha partecipato papa Giovanni Paolo II. Ne rimasi subito colpito: pensavo di trovarmi di fronte a un piccolo evento, quasi “da oratorio”, e invece c’erano migliaia di persone. Il Papa lì disse: andate in tutto il mondo per costruire la civiltà della verità e dell’amore.
Nel corso degli anni ho capito che il Meeting è proprio uno strumento adatto per gettare ponti in tutto il mondo e far conoscere il cristianesimo. Grazie alla ricchezza degli incontri organizzati, alla varietà dei temi affrontati, è possibile costruire ponti di comprensione, di confronto culturale e religioso con tutto il mondo.
Lei ha ricordato la partecipazione al Meeting di Giovanni Paolo II. Secondo lei è stato un riconoscimento dell’apporto che realtà come il Meeting possono dare alla vita della Chiesa?
Certamente lo è stato; oltre tutto il Meeting era iniziato da soli due anni. Il Papa aveva iniziato il suo pontificato quando la chiesa italiana ed europea era ancora sotto la cappa e l’influenza culturale del ’68. A quel tempo la presenza cattolica nella società era veramente minima, in Italia non si vedeva: il popolo era ancora cattolico, ma la società non recepiva la presenza cristiana. Il Papa ha voluto dare un segnale partecipando a un Meeting che prometteva, come poi ha fatto, di rendere sempre più presente il pensiero cristiano nella società italiana e anche mondiale.
Nel corso degli anni il Meeting ha sempre dato spazio alle realtà ecclesiali più remote del mondo e anche a quelle dimenticate o perseguitate. Secondo lei si è trattato di un contributo importante all’universalità della Chiesa?
Sicuramente sì. Il Meeting non si è mai limitato alla situazione italiana ed europea, ha sempre guardato al mondo, rappresentando uno spirito veramente evangelico, cristiano. Questa apertura all’universale mi è sempre piaciuta e penso abbia contribuito a rendere il Meeting una realtà diffusa nel mondo. Ricordo che nel 1997 ero in Messico nel periodo in cui si teneva il Meeting e sul quotidiano Excelsior, che è il più importante della nazione, c’era un editoriale che esaltava il Meeting. Era la prima volta – mi dicevano gli altri sacerdoti della missione in cui mi trovavo – che una realtà cattolica trovava riconoscimento su quelle pagine.
Qual è il messaggio che un evento come il Meeting può portare agli uomini di oggi, cristiani e non?
Per chi non crede, il Meeting può essere l’occasione di incontrare il realismo della fede, perché parla di situazioni concretissime della vita.
Il messaggio del Meeting che mi piace di più è però per i cristiani: l’apertura agli altri, l’andare verso gli altri. Questo messaggio viene incarnato dal Meeting non con prediche, discorsi filosofici o ideologici, ma con realismo, portando esperienze, raccontando storie, invitando e incontrando personalità di tutte le provenienze. Questo nel panorama cattolico italiano è un fatto straordinario.
Qual è l’apporto che il Meeting può dare oggi alla Chiesa?
La chiesa italiana ed europea ha oggi una forte tendenza a chiudersi. Come è scritto nella Redemptor Missio, la missione apre, rinnova la Chiesa. Nella stessa enciclica si può trovare anche il passaggio “la fede si rafforza donandola” e il Meeting fa questo. La sua apertura, la sua universalità rinnovano la Chiesa. E poi c’è una cosa che mi colpisce sempre.
Quale?
Il fatto che ci siano tanti sacerdoti che ogni anno portano i propri fedeli a Rimini. Credo che facciano bene, perché il Meeting è un’occasione per rafforzare la fede, per “aprire la testa” ai cristiani, per portarli all’incontro, al dialogo, ad annunciare Cristo anche a quelli che non credono. Nella chiesa italiana credo non ci siano tante occasioni di questo tipo. È un incontro di popolo davvero unico.
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