Il Cancelliere Merz ritiene che l'approccio di Unicredit nei confronti di Commerzbank non sia amichevole
Ieri Sascha Uebel, Presidente del comitato aziendale di Commerzbank, ha pubblicato sul LinkedIn una lettera inviata il 26 maggio dal Cancelliere Merz. Nella lettera il leader della Cdu scrive che conta su una Commerzbank forte e indipendente e di condividere l’opinione del ministro delle Finanze secondo cui “un approccio non coordinato e non amichevole come quello del Gruppo UniCredit è inaccettabile” e che questo è particolarmente vero per una banca sistemica come Commerzbank.
La banca italiana ha accumulato una partecipazione del 28% nella banca tedesca e a marzo ha ottenuto dalla Bce l’autorizzazione a salire al 29,9%. Dieci giorni fa l’ad di Unicredit Orcel spiegava di voler attendere il momento opportuno per confrontarsi con il Governo tedesco, ma che questo atteggiamento non cambiava il fatto che Unicredit avesse già una partecipazione del 30%.
Le dichiarazioni di Merz non lasciano però intendere molti margini di trattativa. Per il Cancelliere non è una questione di merito, ma di metodo che viene prima di qualsiasi analisi sulla bontà o meno di un’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit. Un approccio “coordinato e amichevole” allude con ogni probabilità a un coinvolgimento della “politica” tedesca.
È bene ricordare che la partecipazione in Commerzbank è stata costruita negli anni del Cancellierato di Olaf Scholz; il politico della Spd a settembre 2024 dichiarava che “gli attacchi non amichevoli e le offerte ostili non sono una buona cosa per le banche” e che questo era il motivo della posizione del Governo tedesco.
Unicredit è una banca europea ed è da più di un decennio un operatore primario nel mercato bancario tedesco. Non ci dovrebbe essere quindi alcun pregiudizio tanto più da due Cancellieri che in Europa sostengono Ursula von der Leyen e che non possono essere definiti “sovranisti”. Eppure non sembra esserci alcun margine di trattativa. La lettera di Merz pubblica è destinata all’organismo di rappresentanza dei lavoratori e questo potrebbe evidenziare una preoccupazione per le ricadute occupazionali del consolidamento bancario. È sicuramente un elemento che però non giustifica una chiusura totale; le “ricadute occupazionali” potrebbero essere oggetto di negoziazione, soprattutto in Germania, e contenute al minimo.
Tutto suggerisce che la questione si giochi su un livello più sistemico. Al cuore della questione c’è la necessità che i sistemi industriali continuino ad avere accesso al credito in una fase in cui esso diventa scarso perché lo scenario è inflattivo, i tassi sono più alti e perché anche i Governi sono impegnati in piani di spesa, per la difesa e l’energia, che non hanno paragoni negli ultimi decenni. Più il numero degli operatori bancari scende e più essi diventano omogenei più si rischia che manchi l’interlocutore giusto o che il costo del credito diventi troppo alto per assenza di competizione.
In un mondo in cui l’offerta di risparmio è scarsa rispetto alla domanda, di famiglie e imprese, il rischio è concreto e potenzialmente fatale per i sistemi industriali. Questa, tra l’altro, è la stessa preoccupazione di un altro Premier “europeista” come lo spagnolo Sanchez alle prese con l’offerta di BBVA su Sabadell.
Il sistema industriale europeo oggi è in crisi stretto tra costi energetici alti, i dazi e una guerra “calda” alle porte. In un’ottica di “mercato” ci sono molti altri posti in cui gli europei preferirebbero investire e infatti da molti mesi si discute di strumenti che con qualche incentivo pubblico possano far rimanere il risparmio degli europei in “Europa”. Prima dell’Europa però ci sono gli Stati che, dalla difesa all’energia, si affrettano a fare, anche contro le regole europee, quello che le istituzioni europee non riescono a fare per tempo.
La questione sul mondo bancario sembra chiara: i Governi sono molto preoccupati che si possa prosciugare il credito internamente e ritengono che un numero troppo piccolo di operatori grandi possa essere un rischio. Questo è vero dalla Spagna, alla Germania passando per l’Italia con un Premier socialista, uno democratico cristiano e uno sovranista.
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