Poco prima di Natale il Consiglio comunale di Milano ha adottato 900 pagine di Piano Aria e Clima deliberato dalla giunta nell’ottobre del 2019. Il 12 gennaio scorso è stato pubblicato per raccogliere in 45 giorni le osservazioni dei cittadini. Tuttavia, come ha rilevato il consigliere Pd Carlo Monguzzi, «i desideri dei cittadini vanno sondati all’inizio di consiliatura, non alla fine». Così anche lo storico esponente dell’ambientalismo di sinistra ha dovuto ammettere che si tratta di un insieme di «bei princìpi» in assenza di «azioni in questo senso». E probabilmente con esclusiva finalità elettorale.
Del resto si sa che, dopo la proclamata “ossessione per le periferie” (che ha prodotto poco più che una ricognizione di interventi già previsti dalle amministrazioni cittadine dal 2004 ad oggi), Beppe Sala ha voluto ripiegare sul tema ambientale per ripresentare la sua candidatura a Palazzo Marino. E come si sa ancora, verde e transizione ecologica sono il terreno di una possibile intesa elettorale tra Pd e M5S, riproducendo a livello locale la coalizione giallorossa che sostiene Conte a Roma. Al di là allora delle questioni di “cucina” elettorale, è interessante affrontare il merito del problema.
Se è condivisibile porre l’obiettivo del contrasto all’inquinamento, è più discutibile quello di prevenire il cambiamento climatico. Su questo infatti la comunità scientifica è divisa rispetto alla reale incidenza del fattore umano su un processo probabilmente di origine più naturale. In ogni caso appare difficile, sia per un obiettivo che per l’altro, che la corsa in solitaria dell’amministrazione Sala – oltre che frettolosa per i motivi di cui sopra – produca anche solo qualche effetto desiderato. La non intesa con Regione Lombardia su questi temi e l’assenza totale di una dimensione più adeguata quale quella della Città metropolitana, il cui sindaco pro tempore rimane pur sempre Beppe Sala, rendono difficile pensare che nei prossimi anni l’aria entro i confini amministrativi di Milano sarà più respirabile di quella entro i confini di Cinisello Balsamo o di Buccinasco.
Ma tutto ciò forse attiene più al metodo per impostare serie politiche di contrasto all’inquinamento. C’è un tema di merito che mi sembra più decisivo e su cui riflettere. È proprio il concetto di “ecologia”. L’istituzione prima di Area C nella cerchia dei Bastioni e successivamente di Area B nelle periferie, che hanno visto rispettivamente l’introduzione di una congestion charge quale nuovo balzello e poi del divieto di accesso ai veicoli fino agli euro06, e il tutto in assenza di un’adeguata politica compensativa di incentivi al rinnovo delle auto, ha fatto emergere un significato abbastanza elitario di quel concetto. È degno di nota il fatto che, secondo una recente ricerca del Censis, per il 47,5% degli intervistati il termine “sostenibilità ambientale” è percepito come un qualcosa che riguarda i più ricchi e sacrifica i ceti meno abbienti. È del tutto evidente, quindi, che la “sostenibilità” deve essere allargata e comprendere la questione sociale, come pure quella antropologica.
In questo senso può essere utile sfondare e sfrondare un principio della dottrina sociale della Chiesa sviluppato negli ultimi anni. Dalla Caritas in Veritate di Benedetto XVI alla Laudato si’ di Francesco, gli ultimi pontefici hanno parlato di “ecologia umana”, da intendersi come quella unicità e indivisibilità del «libro della natura […] sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale» (CV, n. 51). Tanto che pretendere doveri verso l’ambiente scollegati da quelli «verso la persona considerata in sé stessa e in relazione con gli altri», «sconvolge l’ambiente e danneggia la società». In sostanza: va bene porsi l’obiettivo di piantare più alberi in città e preoccuparsi del cosiddetto fumo passivo alle fermate dei mezzi o nei parchi pubblici; tuttavia se non si contrasta quella povertà materiale (documentata dalle lunghe file davanti ai cancelli di Pane quotidiano), come quella relazionale che disgrega le famiglie (causa spesso di nuova esclusione sociale con perdita di reddito) e non ci si cura di una città che invecchia sempre di più e rinuncia a fare figli, è l’intera società che diventa sempre più insostenibile. In quest’ottica la questione generazionale sta divenendo sempre più urgente, tanto nei numeri di quell’emergenza demografica per cui a fine 2020 l’anagrafe comunale ha contato solo 9mila nuovi nati contro i circa 17mila decessi, quanto nel confinamento da quasi un anno di Didattica a distanza dei ragazzi delle scuole medie superiori – con lo strascico di dispersione scolastica e necessità di supporto psicologico.
Su quest’ultimo aspetto è altresì vero che le responsabilità sono molteplici, dal livello nazionale a quello regionale, ma anche l’aver atteso il periodo natalizio per un piano del Prefetto sugli orari della città, al fine di scaglionare l’uso del trasporto pubblico locale ed evitare assembramenti, vorrà pur dire qualcosa in termini di responsabilità e immobilismo da parte dell’amministrazione comunale. Se si fosse dunque allargato il concetto di sostenibilità ecologica allo sviluppo umano integrale in questi anni si sarebbe portato a compimento il prezioso lavoro bipartisan realizzato dalla commissione speciale per redigere un Piano integrato di politiche familiari, istituita con apposita delibera di iniziativa del sottoscritto, finito invece su un binario morto anche per l’ossessione (quella sì) ideologica della giunta Sala a favore dei cosiddetti nuovi diritti, con il registrare bambini all’anagrafe come figli di coppie omosessuali e inaugurare case rifugio rainbow.
Come non ha aiutato nemmeno la logica “tecnocratica” per cui creatività e vitalità cittadine sono sacrificate sull’altare di procedure burocratico-amministrative ispirate dalla logica dell’anticorruzione e che dunque non distinguono tra realtà votate al solo profitto e quelle a finalità sociali. È il caso di Nocetum, una realtà tra Porto di Mare e Corvetto, inserita nella Valle dei monaci e che dal 2000 accoglie persone e famiglie in difficoltà per guidarle verso l’autonomia e, inoltre, si occupa di progetti che coniugano proprio il sociale con l’attività agricola e la promozione del territorio. Anche per questo la Cei la annovera tra le Comunità Laudato si’ per l’impegno nella custodia del creato. Questa realtà opera nel complesso immobiliare della cascina San Giacomo con annessa l’antichissima chiesetta dei Santi Filippo e Giacomo, sottoposta a vincolo di interesse storico e artistico. Secondo le interpretazioni più restrittive dell’Anac fatte valere dall’assessorato all’urbanistica non si possono fare distinzioni tra beni demaniali concessi ad enti profit e dediti ad attività commerciali e beni in uso a quelli non profit e con finalità esclusivamente sociali. E così la comunità di religiosi e laici, guidata da suor Ancilla Beretta e che ha recuperato e restaurato negli anni l’intero complesso a sue spese curando tanto le persone quanto l’ambiente circostante, si vede “sottratto” da un bando comunale l’immobile strumentale alla sua attività e costretta a concorrere insieme ad altri “n” soggetti estranei alla vita del quartiere. Il tutto impegnando risorse finanziare e umane nella redazione di un progetto che documenti ciò che Nocetum già svolge ed è noto a tutti, con il rischio di venire però superata da un’offerta economicamente più vantaggiosa per le casse di Palazzo Marino. In barba anche alle più recenti pronunce del Consiglio di stato e della Corte costituzionale che pure riconoscono un ambito di discrezionalità al decisore politico per le ragioni succitate e individuano nell’amministrazione condivisa dei beni pubblici la strada maestra per la collaborazione tra privato sociale e pubblica amministrazione.
Simile ennesimo episodio appare davvero come un brutto epilogo proprio per quella compagine politica che aveva inteso iniziare il mandato con l’ossessione per le periferie e concluderlo con quello per la sostenibilità ambientale. Infatti, se questa pretende di essere frutto di una deliberazione comunale e non tiene conto di una ecologia dell’uomo (creato tanto quanto gli altri elementi della natura), è seriamente compromessa la vocazione allo sviluppo integrale di persone e popoli.