La ricerca promossa dalla Fondazione per la Sussidiarietà che si interroga sui servizi pubblici locali e sugli “spazi di libertà” che possono renderne la gestione più efficiente introduce nel dibattito italiano coraggiosi elementi di novità.
Infatti, è ormai una costante vedere che quando nel nostro Paese si parla di riforma dei servizi pubblici locali si solleva inevitabilmente un vespaio di polemiche non sempre ragionevoli. Il vero rischio, in questo modo, è di impantanarsi in inutili beghe su “pubblico e privato”, dimenticando la vera posta in gioco, e cioè la qualità del servizio alle persone in un determinato territorio.
Anche in Regione Lombardia, pur essendo per molti versi una regione all’avanguardia nel panorama italiano, cittadini e operatori sono molto sensibili a ogni tentativo di riforma e innovazione dei servizi pubblici locali. Naturalmente, questo è anche dovuto alla “essenzialità” per l’utente dei servizi in questione.
Nella mia esperienza di amministratore regionale, ho percepito sin da subito da un lato la delicatezza del tema e la sensibilità sui tentativi di riforma, dall’altro la necessità (in alcuni casi l’urgenza) di innovazione e di intervento nella regolamentazione dei servizi pubblici locali. Uno degli ultimi esempi in ordine di tempo è la riforma del Servizio Idrico Integrato, che il Consiglio Regionale ha votato lo scorso 22 dicembre 2010, a conclusione di un lungo iter di ascolto dei territori, degli operatori e di tutte le istituzioni coinvolte.
Anche in quell’occasione, nonostante una lunga mediazione tra categorie interessate, istituzioni, rappresentanze di enti locali, abbiamo assistito a variegate contestazioni e a un reiterato ostruzionismo da parte delle opposizioni. Ma il cambiamento, si sa, richiede anche una buona dose di coraggio e una visione di lungo periodo. La nostra visione, nel caso di questa importante riforma, è stata guidata da alcuni principi chiave.
Innanzitutto la responsabilità. Con l’abolizione delle Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (Aato) da parte del decreto “Calderoli”, dal 1° gennaio 2011 ci saremmo trovati in una situazione di assoluta incertezza e di immobilità, sia nella gestione e nella manutenzione del servizio, che nella programmazione degli investimenti. Nel caso dei servizi pubblici locali, come anche la ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà constata, l’ostacolo principale a un servizio efficiente e sostenibile è proprio l’incertezza normativa. La Regione ha perciò legiferato per colmare il vuoto normativo e cancellare la confusione tra operatori ed istituzioni, nonostante una pesante campagna che mirava a posticipare il più possibile la riforma.
L’altro principio chiave è quello della sussidiarietà.Nella nostra riforma, il centro decisionale è il più vicino possibile all’utente finale. Essendo vietati i consorzi di Comuni, e avendo presente le necessità di integrazione e pianificazione in termini di bacino, abbiamo scelto le Province come Ente che prendesse in capo le funzioni delle vecchie Autorità d’Ambito (per Milano sarà il Comune di Milano), affiancando loro una Conferenza dei Comuni, di cui fanno parte tutti i Comuni del territorio in questione, con parere obbligatorio e vincolante.
Mi pare, questo della “massima sussidiarietà possibile”, un tema molto qualificante dell’azione della Regione Lombardia nel suo complesso. Da diversi anni, infatti, le amministrazioni guidate dal Presidente Formigoni tentano di dare un volto concreto a un principio per cui tutti ci siamo battuti, e che ormai è entrato nel nostro patrimonio giuridico ai livelli più alti, rendendolo il cardine delle proprie politiche. Questo tentativo, com’è noto, fa però anche i conti con la realtà, e cioè con una impostazione normativa e amministrativa di livello nazionale che non digerisce sempre facilmente i balzi in avanti.
A livello accademico, vengono spesso proposti modelli senz’altro interessanti anche per l’Italia, come avviene nella ricerca promossa dalla Fondazione per la Sussidiarietà sui servizi pubblici locali: sono modelli con cui certo confrontarsi dialetticamente, ma che talvolta fanno poco i conti con la realtà italiana, con le competenze concorrenti con lo Stato, con le concrete possibilità di inserire “spazi di libertà” e vicinanza all’utente.
Infine, la nostra riforma si è anche posta il problema della sostenibilità, intesa in questo caso sia come capacità di investimento che come ripercussione in termini di tariffe sugli utenti. Abbiamo perciò previsto per gli enti locali che lo volessero, la facoltà di costituire una società patrimoniale, proprietaria delle reti. A tale società competono le funzioni che normalmente spettano ai soggetti proprietari delle infrastrutture, comprese le attività di progettazione di nuovi interventi programmati dal Piano d’Ambito, le attività di collaudo delle nuove infrastrutture e l’espletamento delle gare di affidamento del servizio. Anche la presenza della società patrimoniale sottolinea l’imprescindibile ruolo dei Comuni, e con essi della società civile, nella governance del servizio.
Questa società patrimoniale potrà svolgere l’importante funzione di reperire risorse economiche a tasso agevolato, come è possibile a soggetti pubblici, mettendole poi nella disponibilità del soggetto realizzatore degli investimenti e delle manutenzioni straordinarie delle reti e degli impianti, che ne hanno, in media, grande necessità. Ciò consentirà di tenere le tariffe a carico dell’utente a livelli più bassi.
La patrimoniale da noi prevista è un meccanismo forse più complesso, ma nella sostanza molto simile alla “Fondazione patrimoniale di pubblica utilità”, proposta come via italiana alle non-profit utilities nella ricerca di Garrone e Nardi. Nella situazione italiana, e in particolare in quella lombarda, infatti, la società civile è molto consapevole e attiva nella gestione dei servizi di pubblica utilità, e ha un’interlocuzione costante con la politica locale che permette a quest’ultima di intercettarne e rappresentarne gli interessi in maniera più o meno efficace.
A oggi, quella tramite le istituzioni democraticamente elette sembra essere ancora la migliore mediazione degli interessi della società civile. La proposta di una Fondazione governata da cittadini, utenti industriali e associazioni locali rischia di avere un’applicazione parziale o di far prevalere interessi di gruppi e interessi meglio organizzati rispetto al modello “istituzionale” attuale.
Dunque il percorso verso “nuovi spazi di libertà” deve essere fatto senza indugi, ma pur sempre nella consapevolezza della realtà su cui si va a incidere.
Quello del Servizio idrico è solo un esempio di come si può “fare” della sussidiarietà un’esperienza concreta, ma ogni nuova norma ci pone davanti alla scelta del “più o meno sussidiario”. Abbiamo, ad esempio, approvato alla fine dell’anno appena trascorso una scelta fortemente sussidiaria nella riforma sulle “Grandi derivazioni idroelettriche”, con cui per primi in Italia diamo applicazione al federalismo demaniale, e con cui, di fatto, si restituisce ai territori la possibilità di valorizzare le proprie risorse idriche.
Ancora, abbiamo stipulato un innovativo accordo tra la Regione Lombardia e la Provincia di Sondrio sulla gestione dei corsi d’acqua, in modo tale che l’ente più vicino ai cittadini (in questo caso la Provincia) possa garantire il miglior equilibrio tra rispetto dell’ambiente e della qualità delle acque e valorizzazione economica della risorsa idrica.
Sono solo alcuni degli esempi di un’azione politica e amministrativa che prova a dare un volto ai principi a cui si ispira, e che fa della ricerca di “nuovi spazi di libertà” un obiettivo anche nella riforma dei servizi pubblici locali.