Dieci anziani a Milano, quattro a Roma, sono morti in due giorni per il caldo. Su di loro sono stati riscontrati i tipici segni della morte legata ai sintomi causati dalle elevate temperature, come la disidratazione. «Il dato è drammatico, ma invece che lanciare l’allarme sociale sarebbe meglio valorizzare le risorse esistenti», spiega, intervistato da ilSuddidiario.net Giancarlo Rovati, Professore di Sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano. Il problema è che se gli anziani in questione avessero avuto qualcuno che fosse andato a trovarli – un parente, un vicino, un prete – tutto questo non sarebbe accaduto. E’ una considerazione che è in grado di fare chiunque. Certo: tutti gli anni si verificano episodi di questo genere. Ma i numeri di quest’estate sono assimilabili al dato fisiologico? Sono troppi gli anziani defunti in troppi pochi giorni. Si direbbe esser stata la solitudine ad amplificare gli effetti dell’afa. Vien da chiedersi se il tessuto sociale e quello assistenziale, la rete di rapporti e di sostegno al bisogno delle nostre non abbia preso a disgregarsi. «Affermare che stia scomparendo il tessuto sociale, purtroppo, è pleonastico. E’ sepolto e scomparso da tempo dalle nostre città; e che la solitudine sia la condizione in cui vivono migliaia di persone è un fatto, non un timore», dice Rovati. Per quanto riguarda Milano, non è che Comune e Regione se ne stiano stati con la mani in mano. «Nel 2004, in seguito all’emergenza caldo del 2003, l’allora ministro della Salute, Girolamo Sirchia, propose di attivare il custode socio sanitario. L’idea fu realizzata di concerto tra Regione Lombardia e Fondazione don Gnocchi». Nel tempo, l’iniziativa si è sviluppata. «Partiti da 100 custodi, si è arrivati ai 200 attuali». Per capire l’entità del loro intervento, Rovati spiega: «l’anno scorso, sono riusciti a seguire 10mila persone. Operano limitatamente alle situazioni di disagio all’interno delle abitazioni in edilizia convenzionata. Monitorano gli anziani, assicurandosi che prendano le medicine e non rimangano disidratati. Il rapporto con loro è mediato da portinai o vicini di casa». Ma è ovvio che da soli non bastano. «A Milano ci sono 1.300.000 abitanti. Di questi, 325mila persone, il 25%, sono over 65. E un terzo di costoro, 100mila persone, sono over 75. O dietro a ciascuno di essi c’è un figlio, un nipote o un vicino, o è impensabile far fronte ad una situazione di bisogno acuto con una popolazione così grande».
Quindi? Si direbbe una situazione senza via d’uscita. «Quando le dimensioni della solitudine sono tali, non è pensabile creare un servizio pubblico che possa fronteggiare la situazione. Bisogna valorizzare tutte le forme di solidarietà familiare o di vicinato che già esistono. Mi auguro che questa esperienza possa far riflettere». Alla miopia del Comune, si aggiunge quella della manovra finanziaria, che sottrae quattro miliardi di euro al settore sociale. «Se già con le risorse presenti si fa fatica a fronteggiare il fenomeno – commenta Rovati -, con i tagli sarà ancor più difficile. Si spera che quel poco o quel tanto di rete spontanea esistente regga». Le previsioni non sono delle migliori. «Purtroppo, temo che non reggerà. Milano, infatti, continua a spopolarsi di giovani e si popola di anziani». In ogni caso, «non ha senso costruire su questi dati, come se fossero inediti, un allarme sociale. Tanto più che si aggiunge l’eccezionalità del clima di questi giorni. E’ necessario, invece, fare i conti con questi problemi valorizzando le risorse in campo».