Accetto volentieri l’invito, rivoltomi dagli amici de IlSussidiario.net, di portare una testimonianza personale sul Cardinale Angelo Scola in questi giorni che segnano l’inizio della sua missione pastorale come Arcivescovo di Milano. Devo però precisare che posso parlare di lui solo con riferimento al suo periodo veneziano, giacché in precedenza non l’avevo mai incontrato.
Ho conosciuto il Cardinale Scola nel 2002, quando egli divenne Patriarca di Venezia subentrando a Marco Cé, un pastore che aveva dato prova di grande finezza e sensibilità spirituale, molto amato dai veneziani. Tra l’altro, quella fu la prima volta che nella sua storia millenaria la Basilica di San Marco vide l’insediamento di un nuovo Patriarca alla presenza del suo predecessore. Da allora ho avuto l’opportunità di frequentare il Cardinale Scola e di incontrarlo periodicamente in ragione dell’incarico che ricopro di presidente della Fondazione Cini, ente che ha sede sull’isola di San Giorgio a Venezia e nei confronti del quale spettano per statuto al Patriarca pro tempore di Venezia amplissimi poteri. È dunque con riferimento all’esperienza di tali anni di vicinanza e di collaborazione nella Cini che io posso dire di aver conosciuto il Cardinale Scola.
In questa prospettiva, il primo dato che mi pare importante segnalare è che la partenza da Venezia del Patriarca Scola è stata vissuta con sincero e profondo rammarico alla Fondazione Cini, così come – a quanto mi risulta – in tutti gli ambienti cittadini, senza distinzione tra quelli istituzionali e quelli popolari, tra quelli cattolici e quelli laici. Questo dato è di per sé talmente eloquente da non richiedere alcun commento; ma giova aggiungere che esso risulta ancor più significativo se si considera che un consenso così ampio si è formato intorno all’operato del Patriarca Scola in condizioni che in principio non erano certo le più favorevoli. Al suo arrivo, infatti, egli subentrava, come ho detto, ad un Patriarca massimamente stimato ed amato, ma soprattutto giungeva estraneo all’ambiente veneziano: poco conosciuto e per quel poco – voglio dirlo con massima schiettezza – con una connotazione di vicinanza ad un movimento ecclesiale che, a torto o a ragione, non era ritenuto affine a quella vocazione al confronto e al dialogo tra culture e civiltà diverse, che la storia e la tradizione hanno inscritto nel Dna della città lagunare. Tale pregiudizio si è rivelato presto infondato perché i veneziani hanno avuto modo di verificare la libertà e indipendenza del nuovo Patriarca da ogni logica e vincolo di appartenenza, ma anche la sua autentica e spontanea attitudine al confronto e alla ricerca del dialogo con tutti.
Mi limito a questo accenno perché esula evidentemente dall’oggetto di queste note un esame delle linee di governo della Chiesa veneziana e tanto meno una valutazione dell’operato del Cardinale Scola come guida spirituale dell’intera comunità veneta. Tra i molteplici profili su cui si potrebbe fermare l’attenzione nel caso di una persona di così denso spessore e complessità, in questo breve intervento cercherò di mettere a fuoco solo alcuni tratti: quelli che i rapporti istituzionali e personali intrattenuti negli anni veneziani mi hanno permesso di conoscere da vicino, che mi sembra interessante segnalare ai milanesi all’avvio del magistero del nuovo Arcivescovo.
In primo luogo, una forte capacità di visione e azione progettuale. Intendo parlare della spiccata propensione del Cardinale Scola a promuovere e assecondare la realizzazione di disegni strategici di trasformazione della realtà. Ne è prova il suo ampio impegno per rilanciare la vocazione internazionale di Venezia, attraverso la creazione di numerose attività volte a contrastare il declino della città. Ma nello stesso senso io posso testimoniare il costante appoggio da lui ricevuto nel perseguire l’obiettivo di rilanciare San Giorgio come comunità viva di ricerca e di lavoro intellettuale, gli incoraggiamenti manifestati nelle riunioni del Consiglio Generale della Fondazione, nonché gli stimoli offerti nell’ideazione e nell’attuazione di vari progetti culturali.
Ebbene, io penso che questa capacità di ideazione e di realizzazione progettuale manifestata dal Cardinale Scola a Venezia legittimi la previsione e la speranza che Milano continui a trovare nel nuovo Arcivescovo quell’autorità e quel punto di riferimento anche civile che – pur in presenza di marcate diversità di carattere e di metodi – seppero incarnare i suoi predecessori. I reggitori della Chiesa ambrosiana hanno infatti rappresentato, nei decenni scorsi – per l’intera comunità civile milanese, e non solo per il popolo dei credenti – un’àncora a cui aggrapparsi nel perdurare di una fase di grave smarrimento della propria coscienza e identità. Io nutro la speranza che il Cardinale Scola incoraggerà lo sforzo avviato da molti cittadini per recuperare tali valori.
In secondo luogo, il pieno rispetto dell’indipendenza della nostra Fondazione. Nell’esercizio degli incisivi poteri che, come ho spiegato, gli spettavano in merito all’organizzazione e alla vita dell’ente, egli non ha mai voluto sovrapporsi e prevaricare sugli orientamenti e le proposte maturate in seno agli organi della Fondazione. Di più, è doveroso ricordare le prese di posizione concrete e operative assunte per aiutare la Fondazione a superare i tanti ostacoli incontrati nei rapporti con altri enti ed istituzioni presenti sull’isola. Aggiungo infine che lo stesso equilibrio economico attualmente raggiunto dalla Cini è stato agevolato dalla generosa disponibilità del Patriarca a ridurre le prerogative attribuitegli dallo statuto.
Anche in tal senso il richiamo dell’esperienza veneziana mi pare importante al fine di formulare la fondata previsione che le istituzioni culturali, educative e spirituali facenti capo alla Diocesi milanese saranno valorizzate dal nuovo Arcivescovo nel rispetto della loro identità e in continuità con la loro tradizione.
In terzo luogo, l’apertura all’ascolto e al confronto con le opinioni e le culture più diverse. Anche in questo caso io posso testimoniare che le posizioni da lui assunte sulla linea culturale della Fondazione Cini coincidono con l’impostazione generale dell’azione da lui svolta, nel senso di creare a Venezia – come è ben noto – importanti occasioni e siti di confronto e di dialogo tra civiltà e mondi diversi.
E allora anche su questo fronte mi pare di poter formulare una previsione e un auspicio. La prospettiva di un’ulteriore crescita e strutturazione culturale del confronto e dell’interscambio con altre civiltà non può infatti che risultare suggestiva per il mondo milanese, così diviso oggi tra la sua grande tradizione di ospitalità – ossia di capacità di inglobare e assimilare le forze di lavoro forestiere – e la resistenza che viene opposta a tale accoglienza. L’elaborazione del pensiero del Cardinale Scola, infatti, è sfociata nella presentazione di idee avanzate su una tematica come questa, che probabilmente esige proprio nuovi orizzonti di pensiero per uscire dall’angustia delle contrapposizioni ideologiche e pratiche che oggi ci dilaniano.
Poiché mi è stata chiesta una breve testimonianza di ordine personale, mi sia permesso concluderla con un ultimo auspicio, che è forse sin troppo confidenziale: l’auspicio e la fiducia di continuare a godere con il nuovo Arcivescovo di Milano di quegli straordinari incontri personali che, come ho avuto con lui come Patriarca a Venezia, così a Milano ho potuto avere nel corso degli anni con i suoi predecessori sulla cattedra di Sant’Ambrogio, il Cardinal Martini e il Cardinale Tettamanzi. Incontri e conversazioni da cui sono sempre uscito confortato come credente e nello stesso tempo come cittadino.